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Antimafia con slogan e post ma l’abito ri-pulito puzza ancora

Nella giornata del ricordo della strage di via D’Amelio, abbondano post e slogan sui social ma il rischio di criminali rivestiti di pulito insidia il sistema legale.

Anniversario della strage di vi D’Amelio, il ricordo di Paolo Borsellino e della sua scorta, i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato) Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l’esplosione, in gravi condizioni. Ma anche il giorno che dà spazio ai disonesti travestiti di falsa conversione alla legalità. Un post su Facebook in fondo non costa molto, specie se è suggerito da una campagna di comunicazione in vista delle elezioni, soprattutto regionali. Se il ricordo di uomini e donne uccisi dal fuoco della mafia con l’aiuto di corrotti e malavitosi in giacca e cravatta, diventa l’occasione buona per mettersi l’abito nuovo e provare a rifarsi la verginità, tutto diventa più doloroso. Sul web, in un giro di piazza virtuale, ne trovi una buona quantità di amministratori che agiscono pro e all’interno di un sistema criminale ma che intanto postano locandine in memoria di Borsellino e condividono messaggi genuflessi. Le parole aiutano a convincere le folle e a manipolare intenzioni, però gli anni non sono trascorsi invano e quello che non si capiva ieri, oggi è più chiaro. L’abito pulito non basta se sotto sei ancora sporco. Per i giovani non bastano le parole, servono esempi e coerenza che costituiscono credibilità. L’antimafia non può essere fatta solo il 23 maggio e il 19 luglio e non può essere certamente solo un ricordo dei morti se poi si voltano le spalle a chi ogni giorno combatte la battaglia per il riscatto sociale. Se fino a ieri si sono fatti accordi solo per accrescere il proprio potere mettendo in stand by qualche regola e bypassandone un’altra, aizzando con falsità e delegittimazioni, l’abito ri-pulito puzza ancora.

Puzzano quegli amministratori che armano la mano del giornalista asservito e compiacente pronto a delegittimare in ogni modo. Puzzano quei sindaci che non ammettono critiche e allora offendono, certi che resteranno impuniti. Puzzano quei magistrati che non onorano i loro stessi studi e così assecondano i desideri di archiviazioni giudiziarie. La politica rischia di essere in buona parte uno strumento nelle mani di gruppi imprenditoriali disonesti che si avvantaggiano dell’amministratore di turno per ricevere in cambio comodi permessi o autorizzazioni.

In questo terreno di facile corruttela tra mondo politico ed imprenditoriale per avere tornaconti personali, in termini di carriera politica o di ritorno economico di investimenti economici, si annida la delegittimazione verso tutto quello che non fa parte di quel ‘sistema’. Con il coinvolgimento di giornalisti disonesti che accettano di essere cassa di risonanza di una parte politico-imprenditoriale ricevendo in cambio emolumenti di varia natura, la delegittimazione delle associazioni e cooperative che quotidianamente operano per la promozione sociale nel difficile campo dell’antimafia, si spinge oltre fino a diventare vera e propria diffamazione ed intimidazione. La libertà di azione, della parola e della decisione è minata. Gli attacchi non vengono solo dalle mafie così come finora conosciute ma da quella zona grigia difficile da definire e denunciare ma capace di dettare le regole sia in campo criminale che nel mondo dell’informazione ed economico. Paolo Borsellino, disse: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri“. E’ la mafia dalla pelle cambiata. Tina Cioffo

redazione

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