Partita dai Paesi del nord Europa questa pratica sta facendo il giro del mondo. In cosa consiste e gli errori da evitare
Negli ultimi anni, il “foraging” è diventato una tendenza sempre più diffusa nel mondo della gastronomia e della sostenibilità alimentare. Questo termine anglofono, che si riferisce alla pratica di raccogliere piante, erbe, bacche e altri alimenti selvatici direttamente dall’ambiente naturale, rappresenta un ritorno a tradizioni ancestrali che, per decenni, erano state dimenticate o derubricate a semplici usanze rurali.
Il “foraging” affonda le sue radici nei paesi scandinavi, dove è stato riscoperto e riportato in auge da chef di fama mondiale come René Redzepi del Noma di Copenhagen. Questo movimento gastronomico si è poi diffuso globalmente, portando con sé non solo nuove tecniche culinarie ma anche una rinnovata attenzione alla sostenibilità e alla biodiversità. Oggi, molti chef italiani e appassionati di cucina si avventurano nei boschi e nei campi alla ricerca di ingredienti selvatici per arricchire le loro creazioni culinarie.
Una delle principali motivazioni che spinge le persone a praticare il foraging è la ricerca di un’alimentazione più sana e naturale. In un’epoca in cui la qualità e l’origine del cibo sono sempre più al centro dell’attenzione, raccogliere il proprio cibo direttamente dalla natura rappresenta una forma estrema di controllo sulla propria dieta. Tuttavia, è importante sfatare il mito che il cibo selvatico sia automaticamente più salutare. Mentre è vero che molti alimenti selvatici sono ricchi di nutrienti, non si può generalizzare e, soprattutto, è necessario avere una buona conoscenza delle piante per evitare di raccogliere e consumare specie tossiche o velenose.
La pratica del foraging, però, non è solo una questione di salute. Per molti, è anche un modo per riconnettersi con la natura e con le tradizioni del passato. Le nostre nonne, infatti, praticavano il foraging per necessità, raccogliendo erbe e bacche selvatiche per integrare la dieta familiare, soprattutto in periodi di scarsità. Oggi, questa pratica ha assunto un significato diverso: non più una necessità, ma una scelta consapevole e spesso un gesto di ribellione contro l’industria alimentare globalizzata. Il termine italiano per foraging, “alimurgia”, riflette proprio questo legame con la tradizione: è la scienza che studia l’uso alimentare e curativo delle piante selvatiche, soprattutto nei periodi di carestia.
Una delle caratteristiche più affascinanti del foraging è la sua capacità di trasformare ingredienti apparentemente comuni in vere e proprie prelibatezze. Ad esempio, alberi come il tiglio, la betulla e il faggio, che sono onnipresenti nel paesaggio italiano, offrono una varietà di parti commestibili, dalle foglie alla corteccia interna, che possono essere utilizzate in cucina. E i fiori? Molti sono già noti per il loro uso culinario, come i fiori di acacia, ma esistono molte altre varietà, come le margheritine, che possono essere raccolte e utilizzate per arricchire piatti semplici come frittate o per essere conservate sott’olio, offrendo sapori sorprendenti.
Non solo gli chef nelle grandi cucine, anche i comuni appassionati possono sperimentare questa pratica, iniziando con erbe facili da riconoscere e utilizzare, come il tarassaco, la malva, la borragine o l’ortica. Queste piante, spesso considerate erbacce, sono in realtà ricche di sapore e possono essere utilizzate in una varietà di piatti, dalle insalate alle zuppe, fino a preparazioni più complesse come polpette o frittate.
Alcuni chef hanno portato questa pratica a un livello superiore, utilizzando muschi, licheni e cortecce per creare piatti dal sapore unico e sorprendente. In Italia, chef come Alessandro Gilmozzi, del ristorante El Molin in Val di Fiemme, e Tina Marcelli, del Feuerstein Nature Family Resort in Val di Fleres, sono tra i pionieri di questa cucina selvatica. Le loro creazioni, che includono ingredienti raccolti nei boschi circostanti, sono un esempio di come il foraging possa essere elevato a forma d’arte culinaria.
Il foraging rappresenta anche un’opportunità per riscoprire e valorizzare la biodiversità del nostro territorio. In Italia, infatti, esiste una ricca varietà di piante e erbe selvatiche che, grazie a questa pratica, stanno tornando ad essere protagoniste nelle cucine di casa e nei ristoranti. Questa riscoperta non è solo un vantaggio per la nostra salute, ma anche per l’ambiente, poiché promuove un’alimentazione a basso impatto ecologico e sostiene la biodiversità locale.
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