Ascoltato in Commissione parlamentare Antimafia, il magistrato Nino Di Matteo ricostruisce i fatti sulla sua mancata nomina come capo del Dap e commenta le scarcerazioni
“Le scarcerazioni sono state un segnale devastante e interpretato dalle mafie come una speranza per un possibile alleggerimento del sistema carcerario, non perché vivano condizioni inumane così come loro dicono ma perché aspirano sempre a tornare ai loro posti di comandi. Non era mai accaduto che dei detenuti per fatti di mafia fossero messi ai domiciliari”. Lo ha detto il magistrato antimafia Nino Di Matteo in Commissione parlamentare Antimafia guidata dal presidente Nicola Morra, rispondendo ad una serie di quesiti a partire dalle sue dichiarazioni sul ministro Alfonso Bonafede e sulla mancata nomina come capo del Dap.
Secondo il racconto di Di Matteo, il ministro Bonafede gli ravvisò la possibilità di essere nominato capo del Dap ma poi della cosa non se ne fece nulla. Per il magistrato della trattativa Stato mafia e ora consigliere del Csm, fu un cambio idea incomprensibile. “Sapevo che alcuni detenuti avevano espresso ferma contrarietà rispetto alla mia nomina e per quanto le cose mi sono poi sembrate in qualche modo correlate, non ho mai avuto notizie di reato. Al contrario se ne avessi avute, sarei andato immediatamente nelle sedi opportune che sono le Procure della Repubblica”, ha spiegato Di Matteo, aggiungendo: “l’ho detto in altre sedi ed in altri momenti perché stavano accadendo cose molto grave come quelle delle scarcerazioni”. Di Matteo, rivelò infatti quegli accadimenti nel corso della trasmissione televisiva L’Arena, condotta da Massimo Giletti. Sull’attuale vertice del Dap, Di Matteo ha mantenuto la linea diplomatica affermando: “il collega Tartaglia è notoriamente un mio amico, il dottor Petralia è un magistrato che a Palermo si è occupato di reati contro la Pubblica Amministrazione. Io non posso dare dei giudizi”. Ti. Ci.
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