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“La Sea Watch 3 doveva sbarcare in Italia, vi spiego il perché”

Da giorni oramai si parla dell’attracco della Sea Watch 3 a Lampedusa. Tante sono le ipotesi che sono state fatte sul luogo sarebbero dovuti sbarcare i migranti, che la capitana Carola Rackete ha deciso di portare in Italia violando l’alt imposto dal decreto Salvini. Eppure quella nave, fatta restare per 17 giorni in mare con 40 persone a bordo, aveva tutto il diritto di sbarcare in Italia. Questo quanto spiegato attraverso Twitter dal professor Fabio Sabatini, professore associato di Politica economica all’università La Sapienza.

La Libia non è un porto sicuro

Attraverso i tweet Sabatini spiega che tutto parte dalla richiesta di portare i naufraghi in Libia avanzata dall’Italia alla Sea Watch 3. La Libia aveva accettato di accogliere i migranti, ma la nave guidata da Carola Rackete ha rifiutato di sbarcarvi per rispettare le leggi internazionali che regolano il soccorso in mare.
“La convenzione di Amburgo del 1979 – scrive su Twitter Fabio Sabatini -, cui l’Italia ha aderito con la Legge n. 147/1989, prevede l’obbligo di prestare soccorso ai naufraghi e di farli sbarcare nel primo porto sicuro sia per prossimità geografica al luogo del salvataggio sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. In parole povere, un porto è sicuro se garantisce il rispetto dei diritti dei naufraghi”. La Libia non può essere considerato un porto sicuro, come testimoniano i rapporti della Nazioni Unite e le testimonianze dei sopravvissuti in Libia, che raccontano di orrori senza limiti. E’ lo stesso Sabatini che spiega: “La Libia è un paese in guerra in cui i migranti sono detenuti illegalmente in condizioni disumane, ridotti in schiavitù e sistematicamente oggetto di stupro e delle torture più atroci. I naufraghi – continua – riportati in Libia sono sistematicamente ricondotti nei campi di concentramento, dove ricomincia l’inferno di schiavitù, torture e stupri, fino alla fuga successiva. Riportare un naufrago in Libia spesso significa condannarlo a morte”.

Far sbarcare i migranti in Tunisia

Neanche la Tunisia può essere considerato un porto sicuro a tutti gli effetti. Sabatini spiega che la Tunisia non è “attrezzata per garantire i bisogni dei migranti e non ha una legislazione completa sulla protezione internazionaleattrezzata per garantire i bisogni dei migranti e non ha una legislazione completa sulla protezione internazionale”. Basti pensare che nelle ultime settimane una nave con 75 migranti a bordi era stata costretta a restare in mare in condizioni molto peggiori di quelle della Sea Watch 3 perché dalla Tunisia non accettavano lo sbarco.

Sbarco migranti cosa dice la Legge

“Se la Sea Watch avesse deciso di andare in un altro porto avrebbe violato le leggi internazionali sulla navigazione e il soccorso – chiarisce Sabatini -. Avvicinarsi a Lampedusa pur senza autorizzazione formale, invece, non implicava la violazione di alcuna legge. Dirigersi verso Lampedusa era la scelta più ovvia e con meno conseguenze legali e penali”. Nella lettera inviata all’Italia dall’Onu sul decreto sicurezza bis viene chiarito come il “diritto alla vita e il principio di non respingimento prevalgono sulla legislazione nazionale o su altre misure presumibilmente adottate in nome della sicurezza nazionale”. Dunque la capitana Rackete ha fatto bene ad attraccare in Italia perché quando si tratta di tutela di diritti umano le convenzioni internazionali prevalgono sulle leggi nazionali e sulla politica interna. “Nel prendere la decisione di accostarsi a Lampedusa, la comandante Rackete ha obbedito a una legge di rango superiore al decreto sicurezza bis” scrive Sabatini su Twitter.

redazione

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