Docenti e personale Ata campani ma che lavorano nel Lazio, non possono essere vaccinati perché il sistema sanitario non li contempla. Per poter accedere ai vaccini dovrebbero avere assistenza sanitaria nel luogo dove prestano servizio ma per ottenerla serve il domicilio.
di Tina Cioffo
Sei residente in Campania ma lavori nel Lazio? Allora, non puoi essere vaccinato. È l’assurda risposta che stanno ricevendo docenti e personale Ata dal sistema sanitario laziale, lasciando migliaia di persone vittime dell’incomprensibile burocrazia ed in balia del rischio di essere contagiate dal Covid 19. Ma andiamo con ordine. Il piano dei vaccini ha aperto al personale della scuola e alle forze dell’ordine ed è stata immediata per i tanti docenti che tutte le mattine in treno raggiungono le sedi lavorative a Roma e nei dintorni, fornire i propri dati per la vaccinazione. In Campania, i dati dei docenti e del personale Ata vengono raccolti dalla direzione scolastica che poi li passa al sistema sanitario territoriale, attivando così la prenotazione per il vaccino anticovid.
Il sistema però nel Lazio si è inceppato, lasciando in un limbo pericoloso tutti quei professori, amministrativi e bidelli, maestre e maestri che risiedono nei Comuni della regione Campania e che da pendolari si spostano tutti i giorni per andare a prestare servizio nel mondo della scuola. Per essere vaccinati dovrebbero avere il medico nel Lazio che chiaramente richiede la residenza. Alcuni docenti hanno allora, chiesto all’Asl come poter ovviar, non essendo residenti, all’imbarazzante condizione di sentirsi senza alcuna tutela e abbandonati. La risposta non è stata risolutiva. È stato loro proposto di richiedere l’assistenza sanitaria temporanea solo che per ottenerla sebbene non serva la residenza è necessario il domicilio e quest’ultimo prevede un trasferimento, tutt’altra cosa che viaggiare partendo all’alba per tornare la sera. Una scena che si ripete tutti i giorni per sei giorni su sette, lungo la tratta Napoli Roma ed in particolar modo nelle stazioni di Aversa, San Marcellino, Albanova e Villa Literno. È chiaro dunque che c’è qualcosa che non va e che il piano vaccinazione così come interpretato dal sistema sanitario della Regione Lazio, non funziona e può risultare anche discriminante.
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