L’equilibrio emotivo dei giovani è cambiato radicalmente: oggi la fascia più infelice della popolazione è quella tra i 18 e i 25 anni, un dato che rovescia ogni previsione psicologica.
Per decenni, psicologi e studiosi hanno descritto la felicità nel corso della vita come una curva a U: alta in gioventù, in calo durante la mezza età, e poi in risalita con l’arrivo della vecchiaia. Ma secondo i dati più recenti, questo schema non è più valido. Dal 2019 al 2024, la curva ha subito un’inversione drammatica, con un aumento improvviso e consistente dell’infelicità tra i più giovani. La fascia d’età compresa tra i 18 e i 25 anni è oggi la più vulnerabile dal punto di vista emotivo, superando persino quella degli adulti di mezza età.
I nuovi dati sulla felicità: cresce il disagio tra i giovani
Il dato arriva dal Behavioral Risk Factor Surveillance System (Brfss), programma di monitoraggio sanitario condotto negli Stati Uniti e sviluppato dal Centers for Disease Control (Cdc). Il progetto, che analizza oltre 400.000 interviste all’anno dal 1993 al 2024, mostra chiaramente che la tradizionale “forma a U” della felicità è sparita.
I numeri parlano chiaro: tra il 1993 e il 2024, l’infelicità nei giovani maschi è passata dal 2,5% al 6,6%, mentre tra le femmine è salita dal 3,2% al 9,3%. Un incremento che non può più essere ignorato. Anche gli adulti di mezza età hanno mostrato un aumento del disagio, ma con cifre meno drammatiche. Gli anziani, al contrario, risultano oggi i più sereni, invertendo il vecchio schema della vita emotiva.

Questi dati indicano un cambiamento strutturale e culturale profondo. L’epidemia del malessere giovanile non è un effetto transitorio, né può essere liquidata come una semplice conseguenza della pandemia da Covid-19. Le cause vanno cercate più a fondo, in un contesto sociale e familiare che ha subito mutazioni radicali.
Per decenni, psicologi e studiosi hanno descritto la felicità nel corso della vita come una curva a U: alta in gioventù, in calo durante la mezza età, e poi in risalita con l’arrivo della vecchiaia. Ma secondo i dati più recenti, questo schema non è più valido. Dal 2019 al 2024, la curva ha subito un’inversione drammatica, con un aumento improvviso e consistente dell’infelicità tra i più giovani.
La fascia d’età compresa tra i 18 e i 25 anni è oggi la più vulnerabile dal punto di vista emotivo, superando persino quella degli adulti di mezza età. Un dato che colpisce non solo per la sua evidenza statistica, ma per ciò che rappresenta: un cambiamento culturale e sociale profondo, capace di modificare la percezione stessa della crescita. Se un tempo l’adolescenza era sinonimo di entusiasmo, scoperta e progettualità, oggi rischia di diventare il periodo più cupo della vita, segnato da ansia, isolamento e senso di inadeguatezza. Una vera emergenza emotiva.
L’opinione dell’esperto: “Viviamo nella società della prestazione, non della relazione”
Per capire meglio le radici di questo malessere abbiamo raccolto il punto di vista di Stefano Rossi, psicopedagogista e autore del libro Genitori in ansia, in uscita a settembre 2025. Da oltre vent’anni lavora con bambini e adolescenti e conosce bene le dinamiche che si nascondono dietro al disagio giovanile.
«Il Covid è stato un capro espiatorio comodo. Abbiamo creduto che passata l’emergenza tutto sarebbe tornato alla normalità. Ma non è stato così. Il disagio c’era prima e continua ad aumentare», spiega Rossi. Secondo lui, la vera frattura è culturale: siamo passati da una società “verticale”, dove contavano educazione e comportamento, a una società orizzontale della prestazione, dove ciò che conta è apparire vincenti.
«Oggi non basta più che un figlio sia gentile o onesto. Deve essere perfetto, bello, popolare, di successo. Il mondo si divide tra vincenti e perdenti. Questo spinge a una costante competizione, anche tra giovanissimi, che logora l’autostima e fa sentire inadeguati anche ragazzi brillanti».
Quello che un tempo era un periodo di sperimentazione e costruzione dell’identità, oggi è diventato un campo minato, dove ogni errore sembra una condanna. Le aspettative familiari, il confronto continuo sui social, l’ossessione per la performance scolastica o sportiva, tutto contribuisce a rendere fragili gli adolescenti. La società chiede risultati, non equilibrio. Successo, non autenticità.
A confermare questo quadro, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente lanciato un’allerta: entro il 2030 la depressione sarà la principale causa di disabilità nel mondo, con un’incidenza maggiore proprio tra i giovani adulti.
Una generazione sotto pressione: come invertire la rotta
Secondo Rossi, l’unica via d’uscita passa da un cambiamento collettivo: «Serve un nuovo patto educativo. Genitori, insegnanti e società devono tornare a dare valore alla relazione, non solo al rendimento». Serve spazio per l’errore, per l’empatia, per l’ascolto. Bisogna ricostruire una cultura in cui i giovani non si sentano costretti a essere perfetti per essere amati.
Nel frattempo, il fenomeno resta sotto osservazione anche in Italia, dove negli ultimi due anni sono aumentate del 40% le richieste di supporto psicologico da parte di adolescenti, secondo i dati del Ministero della Salute aggiornati al 2025. Le scuole iniziano a introdurre percorsi di educazione emotiva, ma il cammino è ancora lungo.
Il rischio, se non si agisce in fretta, è che una generazione intera cresca con ferite invisibili. Ferite che non si vedono nei voti scolastici o nei selfie, ma che logorano in silenzio, giorno dopo giorno.