Cresce il disagio tra i più giovani: il confronto sui social, l’ossessione per il corpo e i pericoli dei modelli estetici irrealistici.
Anoressia, dismorfofobia e insicurezza corporea colpiscono sempre più ragazzi e ragazze. La prevenzione inizia in famiglia, a scuola e nella gestione dei social media.
Durante l’adolescenza, il corpo cambia e con esso si sviluppa la percezione di sé. Un passaggio naturale ma fragile, che oggi risulta ancora più delicato a causa dell’esposizione costante a modelli estetici idealizzati, soprattutto online. Quando il rapporto con l’aspetto fisico si trasforma in un’ossessione, possono emergere disturbi dell’immagine corporea, con conseguenze serie sul benessere psicologico e sociale.
Dismorfofobia e disturbi alimentari: quando l’immagine diventa ossessione
Tra le condizioni più complesse e ancora poco conosciute c’è la dismorfofobia, un disturbo che porta l’adolescente a vedere difetti inesistenti o minimi come se fossero gravi imperfezioni. Secondo un recente studio pubblicato nel 2025 sul Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, la dismorfofobia colpisce circa l’1% degli adolescenti, con punte vicine al 2% nella fascia 14–17 anni. In molti casi, porta a isolamento sociale, difficoltà scolastiche e persino autolesionismo.

La distorsione dell’immagine corporea è strettamente collegata anche ai disturbi del comportamento alimentare. I ragazzi affetti da anoressia possono percepirsi in sovrappeso nonostante un evidente sottopeso, mentre chi soffre di bulimia o binge eating manifesta insoddisfazione opposta, con cicli di abbuffate e sensi di colpa. Una ricerca italiana pubblicata nel 2025 sull’International Journal of Clinical and Health Psychology ha dimostrato che più negativa è la percezione corporea, più gravi tendono a essere i sintomi alimentari.
L’impatto dei social media e il ruolo della body positivity
Nel 2025, il corpo non si guarda più solo allo specchio, ma anche — e soprattutto — attraverso lo schermo. I social network, con le loro immagini filtrate, i like e il confronto continuo, influenzano profondamente l’identità fisica e socialedegli adolescenti.
Le ragazze sono esposte a ideali di magrezza estrema, mentre i ragazzi si confrontano con modelli muscolari esasperati, spesso veicolati da influencer del fitness. In entrambi i casi, crescono ansia, insicurezza, uso scorretto di integratori o pratiche alimentari dannose.
All’interno di questo panorama, il movimento della body positivity ha guadagnato terreno come risposta sociale alla pressione estetica. Promuove accettazione del proprio corpo, inclusività e rispetto della diversità fisica. Programmi educativi ispirati a questo approccio, introdotti anche in alcune scuole italiane, hanno mostrato miglioramenti in autostima, benessere psicologico e capacità di autoriflessione critica.
Ma, come ricorda la Società Italiana di Prevenzione Cardiovascolare, è fondamentale non confondere accettazione con legittimazione di stili di vita non salutari. Difendere la diversità non significa normalizzare l’obesità o trascurare la salute. La cura del corpo deve rimanere al centro, ma senza cadere nella trappola del giudizio o dell’omologazione.
Interventi terapeutici: quando serve chiedere aiuto
Tra i percorsi più efficaci per trattare i disturbi legati all’immagine corporea c’è quello psicoanalitico. Questo approccio non si limita alla riduzione dei sintomi, ma agisce sulla ricostruzione dell’identità e sulla rielaborazione emotiva dei vissuti di disagio.
Numerose ricerche confermano che traumi infantili, bullismo, esperienze di body shaming e rifiuto sociale possono lasciare segni profondi nella percezione di sé. La psicoanalisi offre uno spazio protetto in cui l’adolescente può esprimere paure, insicurezze e rabbia senza sentirsi giudicato.
Fondamentale anche l’intervento precoce: riconoscere i segnali di allarme consente di agire in tempo, evitando cronicizzazioni. Tra i campanelli d’allarme più comuni ci sono il ritiro sociale, l’uso ossessivo dello specchio, la mania dei selfie, le critiche costanti al proprio corpo, e cambiamenti evidenti nelle abitudini alimentari o sportive.
Il ruolo dei genitori: come aiutare i figli a sentirsi bene nel proprio corpo
La famiglia resta il primo luogo di protezione. I genitori possono fare moltissimo, a partire da una comunicazione empatica e non giudicante. Evitare commenti su peso, aspetto o dieta e concentrarsi su concetti come forza, energia, riposo e salute aiuta a sdrammatizzare l’aspetto esteriore e promuove un’idea più ampia di benessere.
Anche modellare abitudini sane ha un forte impatto: mangiare insieme, fare sport per piacere (non per dimagrire), impostare pause dai social e porre limiti condivisi sull’uso dello smartphone sono strumenti semplici ma potenti. Se i segnali di disagio persistono, è importante consultare uno specialista o rivolgersi a servizi territoriali dedicati all’adolescenza.
Le scuole possono svolgere un ruolo decisivo, soprattutto integrando nei programmi educazione ai media, psicologia dell’immagine e percorsi di body positivity critica. Alcuni istituti sperimentali in Italia hanno già introdotto corsi che uniscono educazione digitale, consapevolezza emotiva e attività creative per depotenziare il confronto estetico.
Sport scolastici e attività motorie dovrebbero essere proposti non come strumenti per “tenersi in forma”, ma come esperienze di divertimento, socialità e competenza, rafforzando l’idea che il corpo non è solo da guardare, ma da vivere.
Nel 2025, affrontare i disturbi dell’immagine corporea non significa solo curare, ma soprattutto educare, prevenire e proteggere. Servono scuole più attente, famiglie più consapevoli e un dialogo pubblico libero dai filtri e dai giudizi. Perché crescere con serenità in un corpo che cambia è un diritto di ogni adolescente.