Gaza, Tony Blair al lavoro su un governo di transizione con il sostegno di Donald Trump

Franco Vallesi

20 Settembre 2025

Donald Trump avrebbe incaricato Tony Blair di guidare un progetto postbellico per la Striscia di Gaza: una governance temporanea fino alla consegna all’Autorità Palestinese.

L’ex premier britannico starebbe lavorando a un piano per il “giorno dopo” il conflitto a Gaza: un’amministrazione internazionale di transizione, diritti garantiti e niente sfollamenti forzati.

Secondo un’esclusiva del Times of Israel, Tony Blair avrebbe ricevuto l’autorizzazione formale da parte dell’ex presidente Donald Trump – oggi in piena campagna elettorale per le presidenziali USA del 2026 – per radunare attori regionali e internazionali attorno a un ambizioso piano di governance postbellica della Striscia di Gaza.

La proposta, elaborata nei primi mesi del conflitto tra Israele e Hamas, prevede la creazione di una “Autorità internazionale di transizione per Gaza”, un organismo temporaneo che avrebbe il compito di gestire l’enclave palestinese fino a una futura consegna all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). L’obiettivo dichiarato è garantire stabilità, continuità amministrativa e tutela dei diritti civili nel delicato periodo successivo al cessate il fuoco.

Un piano multilivello per il “giorno dopo”: chi governerà Gaza dopo la guerra?

Il progetto di Blair, i cui dettagli sono stati visionati dal Times of Israel, si basa su una struttura multilivello che comprende un governo tecnico di transizione, supportato da agenzie internazionali, forze di sicurezza arabe e specialisti civili. La nuova autorità non avrebbe ambizioni politiche a lungo termine, ma si occuperebbe della ricostruzione infrastrutturale, del ripristino dei servizi essenziali e del monitoraggio dei diritti umani, in collaborazione con l’ONU e alcuni Paesi arabi moderati, tra cui Egitto, Giordania e Marocco.

Tony Blair
Tony Blair. Fonte foto www.wikipedia.org-ireporters.it

Tra gli elementi più significativi del piano spicca la creazione di una “Property Rights Preservation Unit”, un organismo destinato a proteggere i diritti di proprietà dei cittadini palestinesi anche in caso di allontanamento temporaneo da Gaza. Una misura voluta per smentire le accuse, circolate nei mesi scorsi, secondo cui il piano mirasse a uno sfollamento di massa o a un’ipotetica “Trump Riviera”, una zona di sviluppo economico-turistico fortemente contestata.

Inoltre, la proposta esclude qualsiasi tipo di deportazione forzata: ogni eventuale spostamento dovrà avvenire su base volontaria, con garanzie sul ritorno futuro e sul mantenimento dei diritti civili e patrimoniali. Una posizione che si distanzia nettamente da alcune ipotesi circolate nei media israeliani e americani nei mesi scorsi.

Trump punta sulla diplomazia internazionale mentre si gioca la corsa alla Casa Bianca

L’appoggio di Donald Trump al piano di Blair è tutt’altro che secondario. A meno di un anno dalle elezioni presidenziali del 2026, l’ex presidente sembra voler rafforzare la sua immagine internazionale, presentandosi come l’unico leader americano in grado di portare ordine e soluzioni concrete in Medio Oriente. Il fatto che Blair, ex primo ministro laburista, sia coinvolto sottolinea la natura trasversale del piano, che punta a raccogliere il consenso di più Paesi possibili e a costruire una soluzione “accettabile” per tutte le parti in causa.

Nel frattempo, alla Casa Bianca si è già tenuta una sessione politica dedicata proprio al “day after” di Gaza lo scorso 27 agosto, con la partecipazione di diplomatici, esperti di sicurezza e rappresentanti di diverse ONG. Blair era presente e avrebbe illustrato i primi contorni operativi del piano, ricevendo – secondo fonti vicine al dossier – un cauto sostegno bipartisan, soprattutto da parte degli apparati militari e umanitari americani.

Israele, per ora, non ha espresso una posizione ufficiale sul piano, ma fonti diplomatiche riferiscono che l’idea di una gestione temporanea multilaterale potrebbe incontrare meno resistenze rispetto a un ritorno immediato dell’ANP, ritenuta ancora fragile e poco radicata nella Striscia.

In parallelo, l’Unione Europea starebbe valutando un possibile ruolo nel supporto logistico e tecnico alla nuova autorità, mentre Qatar e Arabia Saudita si mantengono prudenti, ma interessati a non lasciare il vuoto.

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