Negli ultimi anni la vitamina D è stata sopravvalutata: nuove evidenze scientifiche ne ridimensionano i presunti benefici. Dalla prevenzione del cancro alla protezione dal Covid, fino al test di massa: la verità su una delle molecole più discusse della medicina moderna.
Nel corso dell’ultimo decennio, la vitamina D è passata da semplice micronutriente a presunto elisir di lunga vita, celebrata da media, influencer e persino alcuni professionisti della salute. Ma oggi, alla luce dei dati più aggiornati del 2025, molte delle certezze sul suo ruolo protettivo vengono smontate dalla letteratura scientifica di alta qualità. E non si tratta di opinioni, ma di numeri e risultati pubblicati nei più autorevoli studi clinici internazionali.
Una revisione attenta degli ultimi report svela 5 convinzioni errate che continuano a circolare, portando a diagnosi inutili, assunzioni non necessarie e persino rischi per la salute. Ecco cosa ci dice la scienza oggi.
La vitamina D non previene tumori, Alzheimer o infarto nei soggetti sani
Per anni si è creduto che la vitamina D avesse un effetto protettivo contro cancro, malattie cardiache e disturbi neurodegenerativi. Ma le ultime analisi condotte su larga scala, come lo studio VITAL che ha seguito oltre 25.000 persone per 5 anni, non hanno rilevato alcuna riduzione significativa nell’incidenza di cancro al seno, al colon o alla prostata, né di ictus o infarto.

Nel 2025, questa tesi viene confermata da ulteriori trial randomizzati controllati: la supplementazione non ha mostrato benefici concreti nella popolazione generale. La vitamina D rimane utile in casi specifici di carenza o per soggetti a rischio, ma non può essere considerata una strategia di prevenzione primaria contro le grandi patologie croniche.
Uno degli usi più diffusi della vitamina D riguarda la prevenzione dell’osteoporosi e delle fratture ossee, soprattutto negli anziani. Tuttavia, le linee guida internazionali aggiornate hanno ristretto molto le indicazioni. L’efficacia della vitamina D è stata confermata solo se associata al calcio, e solo in soggetti molto anziani, fragili o istituzionalizzati (ad esempio, ospiti di RSA).
Per la popolazione anziana autosufficiente o le persone sane sotto i 70 anni, non ci sono evidenze solide che giustifichino l’uso regolare di supplementi. In assenza di deficit accertato, assumere vitamina D per “prevenzione generica” può essere del tutto inutile, o persino dannoso se si eccede con le dosi.
Difese immunitarie e virus: gli effetti sono stati enormemente sopravvalutati
Durante la pandemia di COVID-19, la vitamina D è stata proposta come scudo immunitario. Alcuni studi osservazionali avevano notato un’associazione tra livelli bassi di vitamina D e maggiore incidenza di infezioni respiratorie. Ma attenzione: correlazione non significa causalità.
Le più recenti revisioni sistematiche del 2025 – comprese quelle condotte da organismi come Cochrane – smentiscono un effetto significativo della vitamina D nel prevenire o curare Covid, influenza o raffreddore. I benefici, se presenti, sono modesti e clinicamente trascurabili per la maggior parte della popolazione. Insistere sull’uso di supplementi “per stimolare il sistema immunitario” rischia quindi di essere più marketing che medicina, soprattutto se non si è carenti.
Un altro mito difficile da estirpare riguarda il valore “ideale” nel sangue. Per anni si è detto che la vitamina D debba superare i 30 ng/mL per essere considerata sufficiente. In realtà, secondo le ultime raccomandazioni della National Academy of Medicine e della Società Italiana di Endocrinologia, 20 ng/mL sono più che sufficienti per mantenere un buon metabolismo osseo.
Superare quella soglia, senza una reale indicazione clinica, non apporta vantaggi e può invece aumentare il rischio di effetti collaterali, come ipercalcemia o calcoli renali. Tentare di alzare i livelli “preventivamente” con integratori può trasformarsi in una medicalizzazione inutile.
Il test della vitamina D va fatto solo in casi selezionati
Molti medici continuano a prescrivere il test per la vitamina D anche a persone sane, senza sintomi né fattori di rischio. Tuttavia, nel 2025, le linee guida europee e americane ribadiscono che lo screening di massa non è raccomandato. Serve solo in casi specifici:
osteoporosi diagnosticata
patologie da malassorbimento come celiachia o Crohn
uso cronico di farmaci come corticosteroidi o anticonvulsivanti
insufficienza renale cronica
fratture da fragilità o dolori muscolari sospetti
Eseguire il test “per scrupolo” in assenza di sintomi è scientificamente ingiustificato e contribuisce a creare ansia da salute, spese sanitarie inutili e uso indiscriminato di integratori.