Un piatto ricco e profumato, nato sulle rive del Mar Nero, che scalda il cuore e richiama sapori antichi. Il kharcho non è solo cibo, è un ricordo che torna.
Dal villaggio dell’infanzia alle tavole di oggi: il kharcho è uno stufato che unisce tradizione, famiglia e un tocco di poesia georgiana. Con una salsa di noci da mangiare col pane, da sola.
C’è un momento, in ogni ricetta, in cui il gusto si trasforma in memoria. Il profumo del kharcho, piatto simbolo della Georgia, rievoca un’estate lontana, fatta di mani premurose, risate di cugini, e pane caldo spolverato di zucchero. Una tavola piena, la festa di San Biagio in un villaggio dove la nonna cucinava il mondo con le sue mani.
Quel sapore speziato e avvolgente, che oggi ritorna tra le mura di casa, è il legame invisibile con un’infanzia semplice e potente, fatta di attese, di silenzi e di abbracci serviti su un piatto fumante.
Il kharcho originale: una salsa di noci, spezie e carne che racconta la Georgia
In Georgia, il kharcho nasce con il pollo, ma nel tempo si è imposto nella sua versione più robusta, quella con manzo grasso o stinco, perfetta per assorbire i profumi di cipolla, coriandolo fresco, noci tostate e pasta di peperoncino. La vera magia sta nella salsa alle noci, densa, vellutata, così buona che, come accadeva da bambini, viene voglia di mangiarla con il pane da sola.
La preparazione è lenta, quasi meditativa: si fa sobbollire la carne finché non inizia a disfarsi, poi si mescolano ingredienti antichi e fragranti in un frullatore – cipolle, gambi e radici di coriandolo, noci, spezie – per ottenere una pasta ruvida e profumata. Il brodo della carne viene arricchito con passata di pomodoro e questa crema speziata, e infine si rimette tutto insieme, la carne disossata, il brodo ristretto e l’aroma pungente dell’aglio fresco.

Chi vuole può servirlo con polenta georgiana (“gomi”), con riso oppure con pane in abbondanza, “come se piovesse”, come dicevano i nonni.
E se non trovate il tradizionale sale rosso georgiano, l’Adjika, niente paura: potete ricrearlo in casa frullando peperoncini rossi, aglio fresco, semi di coriandolo e sale marino. Il risultato? Un condimento umido e piccante da usare con cautela, ma capace di riportare alla mente, in un istante, la cucina di una volta.
La ricetta del kharcho, tra memoria e sperimentazione
Ingredienti per 4-6 persone
1 kg di stinco di manzo (o pollo) a pezzi grossi
3 cipolle tritate grossolanamente
1 mazzo di coriandolo, foglie, gambi e radici
150 g di noci
2 cucchiai di pasta di peperoncino (o adjika fatto in casa)
2 cucchiai di fieno greco macinato (oppure 2 cucchiai di sciroppo d’acero come alternativa)
1½ cucchiai di passata di pomodoro
3 spicchi d’aglio, schiacciati
semi di melograno (facoltativi)
Preparazione
Mettere la carne in una casseruola e coprirla con acqua fredda. Cuocere a fuoco basso per 1h30, schiumando il grasso.
Frullare cipolle, gambi e radici del coriandolo, noci, peperoncino (o adjika) e fieno greco in un mixer.
In una casseruola a parte, cuocere il brodo della carne con la passata di pomodoro per 2 minuti, poi aggiungere la pasta di noci. Cuocere per 15 minuti, mescolando.
Togliere la carne, disossarla e ridurre il brodo a 400 ml. Aggiungere la carne e la salsa al brodo, l’aglio schiacciato e cuocere per altri 5 minuti.
Servire con coriandolo tritato e, se desiderate, con semi di melograno freschi.
Per accompagnarlo: riso, gomi o pane fresco caldo, perché sarà la salsa a dettare il ritmo del pasto. Il kharcho non è solo una ricetta da cucinare, ma un ricordo da evocare, una radice da ritrovare, un sapore da trasmettere. In un mondo veloce, liquido, spesso distratto, piatti come questo ci riportano a ciò che è essenziale: il tempo condiviso, il gesto amorevole, l’identità che si costruisce anche attraverso il cibo.
Ed è in quelle cucine di paese, in quei piatti cucinati a fuoco lento dalle mani delle nonne, che impariamo che la cucina è memoria viva, capace di parlare anche senza parole.