Il prof più amato d’Italia spiega perché sbagliamo tutti a fare il caffè con la moka

Il caffè perfetto esiste (ma bisogna seguire una regola che pochi conoscono)

Lorenzo Fogli

24 Agosto 2025

Ogni mattina milioni di italiani iniziano la giornata con un gesto rituale: preparare il caffè. C’è chi affida il primo sorso di energia a capsule e macchinette moderne, e chi continua a usare con pazienza la vecchia moka. Ma pochi si domandano cosa accada davvero dentro quella piccola caffettiera, mentre l’acqua sale e il profumo invade la cucina. A far luce — è il caso di dirlo — su questo mistero quotidiano, è intervenuto Vincenzo Schettini, il noto professore di fisica diventato un volto familiare sui social.

Schettini, con il suo stile semplice e diretto, ha spiegato come la fisica possa migliorare la preparazione del caffè. Unendo teoria e pratica, suggerisce alcuni passaggi fondamentali per ottenere un espresso “perfetto”, proprio a partire da ciò che succede tra caldaia, valvola e fornello. E il tutto ha una base scientifica precisa.

Moka, pressione e calore: come funziona davvero il caffè

Il primo consiglio del professore riguarda un dettaglio che in molti trascurano: il livello dell’acqua nella caldaia. Secondo Schettini, non bisogna mai superare la valvola. Il motivo? È tutto legato alla pressione dell’aria. L’aria contenuta tra il livello dell’acqua e il bordo superiore ha un ruolo determinante: “con il calore della fiamma, l’aria si espande, aumenta di pressione e spinge l’acqua verso l’alto attraverso il tubicino centrale”.

Il caffè perfetto esiste (ma bisogna seguire una regola che pochi conoscono)

Se si riempie troppo la moka, questo spazio d’espansione viene meno, e il meccanismo si inceppa. Senza un corretto gioco di pressioni, l’acqua non riesce a salire come dovrebbe. Ed è qui che la fisica entra nel quotidiano: più che una ricetta, si tratta di un equilibrio delicato tra forze, temperature e spinta.

Anche la quantità e la disposizione del caffè macinato nel filtro ha un suo perché. Schettini raccomanda di riempire abbondantemente, ma senza premere. Una polvere troppo pressata crea un ostacolo al passaggio dell’acqua: il liquido incontra una resistenza eccessiva, rallenta il flusso e altera il sapore. Il risultato può essere un caffè “stanco”, oppure una moka che impiega troppo tempo a completare l’estrazione.

Il ruolo della fiamma, il borbottio finale e un errore che commettono in tanti

Anche la gestione della fiamma è determinante. Schettini consiglia di tenerla bassa, specialmente se si desidera un caffè più intenso. Questo perché l’acqua sale più lentamente e riesce ad assorbire meglio gli aromi e la caffeina contenuti nella polvere. Una fiamma troppo alta, invece, porta a un riscaldamento troppo rapido: parte del calore può bruciare direttamente la polvere, modificandone il sapore e generando note amare.

Altro errore diffuso: lasciare la moka sul fuoco anche dopo il famoso “borbottio”. Quel rumore caratteristico è in realtà un segnale fisico preciso: l’acqua nella caldaia è quasi finita, la pressione interna aumenta e l’aria comincia a risucchiare, creando quel suono intermittente e riconoscibile. A quel punto, spiega Schettini, bisogna spegnerla subito. Lasciarla sul fuoco oltre quel momento significa surriscaldare l’interno e alterare definitivamente il sapore del caffè.

Un’ultima curiosità riguarda la cuccuma napoletana, che funziona al contrario rispetto alla moka. In questo caso, infatti, è la gravità a spingere l’acqua verso il caffè. Niente pressione, nessun vapore, ma una discesa lenta e regolare. E anche qui, la fisica ha la sua parte.

Schettini chiude il suo intervento ricordando che anche nei gesti più banali — come fare il caffè — si nascondono fenomeni complessi. Basta saperli osservare.

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