Ogni mattina milioni di italiani iniziano la giornata con un gesto rituale: preparare il caffè. C’è chi affida il primo sorso di energia a capsule e macchinette moderne, e chi continua a usare con pazienza la vecchia moka. Ma pochi si domandano cosa accada davvero dentro quella piccola caffettiera, mentre l’acqua sale e il profumo invade la cucina. A far luce — è il caso di dirlo — su questo mistero quotidiano, è intervenuto Vincenzo Schettini, il noto professore di fisica diventato un volto familiare sui social.
Schettini, con il suo stile semplice e diretto, ha spiegato come la fisica possa migliorare la preparazione del caffè. Unendo teoria e pratica, suggerisce alcuni passaggi fondamentali per ottenere un espresso “perfetto”, proprio a partire da ciò che succede tra caldaia, valvola e fornello. E il tutto ha una base scientifica precisa.
Moka, pressione e calore: come funziona davvero il caffè
Il primo consiglio del professore riguarda un dettaglio che in molti trascurano: il livello dell’acqua nella caldaia. Secondo Schettini, non bisogna mai superare la valvola. Il motivo? È tutto legato alla pressione dell’aria. L’aria contenuta tra il livello dell’acqua e il bordo superiore ha un ruolo determinante: “con il calore della fiamma, l’aria si espande, aumenta di pressione e spinge l’acqua verso l’alto attraverso il tubicino centrale”.

Se si riempie troppo la moka, questo spazio d’espansione viene meno, e il meccanismo si inceppa. Senza un corretto gioco di pressioni, l’acqua non riesce a salire come dovrebbe. Ed è qui che la fisica entra nel quotidiano: più che una ricetta, si tratta di un equilibrio delicato tra forze, temperature e spinta.
Anche la quantità e la disposizione del caffè macinato nel filtro ha un suo perché. Schettini raccomanda di riempire abbondantemente, ma senza premere. Una polvere troppo pressata crea un ostacolo al passaggio dell’acqua: il liquido incontra una resistenza eccessiva, rallenta il flusso e altera il sapore. Il risultato può essere un caffè “stanco”, oppure una moka che impiega troppo tempo a completare l’estrazione.
Il ruolo della fiamma, il borbottio finale e un errore che commettono in tanti
Anche la gestione della fiamma è determinante. Schettini consiglia di tenerla bassa, specialmente se si desidera un caffè più intenso. Questo perché l’acqua sale più lentamente e riesce ad assorbire meglio gli aromi e la caffeina contenuti nella polvere. Una fiamma troppo alta, invece, porta a un riscaldamento troppo rapido: parte del calore può bruciare direttamente la polvere, modificandone il sapore e generando note amare.
Altro errore diffuso: lasciare la moka sul fuoco anche dopo il famoso “borbottio”. Quel rumore caratteristico è in realtà un segnale fisico preciso: l’acqua nella caldaia è quasi finita, la pressione interna aumenta e l’aria comincia a risucchiare, creando quel suono intermittente e riconoscibile. A quel punto, spiega Schettini, bisogna spegnerla subito. Lasciarla sul fuoco oltre quel momento significa surriscaldare l’interno e alterare definitivamente il sapore del caffè.
Un’ultima curiosità riguarda la cuccuma napoletana, che funziona al contrario rispetto alla moka. In questo caso, infatti, è la gravità a spingere l’acqua verso il caffè. Niente pressione, nessun vapore, ma una discesa lenta e regolare. E anche qui, la fisica ha la sua parte.
Schettini chiude il suo intervento ricordando che anche nei gesti più banali — come fare il caffè — si nascondono fenomeni complessi. Basta saperli osservare.