Italia: far riconoscere un titolo di studio conseguito all’estero è difficile, ecco perché

Il riconoscimento di un titolo di studio estero in Italia richiede valutazioni complesse, traduzioni ufficiali e dichiarazioni di valore

Ottenere il riconoscimento di un titolo di studio conseguito all’estero per poter lavorare in Italia è spesso un processo lungo, complicato e costoso. La procedura è caratterizzata da burocrazia inefficiente e costi elevati, tanto che molte persone rinunciano. Alcuni, anche con studi di alto livello, si vedono negare il riconoscimento. Questo rappresenta un ostacolo significativo all’accesso al mercato del lavoro in Italia.

Far riconoscere in Italia un titolo di studio conseguito all’estero è difficile, ecco perché

Un esempio emblematico è quello di Margherita Pascucci, che ha conseguito due dottorati, uno in filosofia in Germania e uno in letteratura comparata negli Stati Uniti. Tornata in Italia nel 2020, ha tentato di partecipare a un concorso all’università di Firenze, ma il primo dottorato non le è stato riconosciuto per motivi burocratici. Dopo mesi di attesa e centinaia di euro spesi, il secondo dottorato è stato riconosciuto, ma nel frattempo il bando era scaduto.

Far riconoscere in Italia un titolo di studio conseguito all'estero è difficile, ecco perché
Far riconoscere in Italia un titolo di studio conseguito all’estero è difficile, ecco perché – ireporters.it

 

Simone Calabrò ha conseguito un dottorato in Letterature comparate presso l’Università di Edimburgo, in Scozia, nel 2021. Per ottenere il riconoscimento del titolo in Italia, ha speso circa un migliaio di euro e ha dovuto attendere quasi un anno. Durante questo periodo, non ha potuto partecipare ai concorsi universitari e, pur potendo accedere a quelli per insegnare a scuola, non poteva inserire tra i suoi titoli il dottorato. Ai concorsi per l’insegnamento, il dottorato assegna 12 punti, che costituiscono più della metà dei 22 punti disponibili per titoli aggiuntivi.

Alcune persone hanno addirittura rinunciato al riconoscimento, come Simona Gabrielli, assegnista di ricerca presso l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia (INGV) di Roma. Gabrielli ha conseguito un dottorato in Geoscienze all’Università di Aberdeen, in Scozia, nel 2020. Dopo il dottorato ha ottenuto alcuni assegni di ricerca professionalizzanti, per i quali non è richiesto il dottorato, e si è informata su come ottenere il riconoscimento per partecipare a ulteriori concorsi o percorsi di studio post-dottorato, che le avrebbero garantito anche uno stipendio più elevato.

«La sola procedura costava oltre 400 euro, a cui si aggiungevano varie spese burocratiche: guadagnavo 1.400 euro al mese, e quei soldi non li avevo». Simona Gabrielli ha quindi rinunciato a richiedere il riconoscimento del titolo. All’INGV, nel frattempo, è stata valutata principalmente per l’esperienza accumulata con gli assegni di ricerca professionalizzanti. Di fatto, in Italia, il suo dottorato ottenuto all’Università di Aberdeen non ha valore legale.

Esistono due tipi di procedure in Italia per ottenere il riconoscimento di un titolo di studio conseguito all’estero: il riconoscimento accademico (ex equipollenza) e il riconoscimento finalizzato (ex equivalenza). Il primo è permanente e vale una volta ottenuto, mentre il secondo è valido solo per il singolo concorso per cui viene richiesto, rendendo necessario ripetere la procedura ogni volta.

Il processo di riconoscimento dei titoli di studio varia a seconda della procedura scelta e se il titolo è stato ottenuto in un paese dell’Unione Europea o fuori. Tuttavia, ci sono documenti comuni da presentare, come traduzioni giurate, firme notarili (con costi associati), dichiarazioni di valore (rilasciate da ambasciate o consolati del paese in cui si è studiato) e l’apostille.

Conosciuta anche come Postilla dell’Aia, l’apostille è un timbro previsto dalla Convenzione dell’Aia del 1961, un trattato internazionale per il mutuo riconoscimento dei documenti tra i paesi firmatari. Per ottenerlo, è necessario inviare la documentazione originale nel paese di origine o recarsi fisicamente all’estero. Filippo Ferrari, ricercatore del dipartimento delle Arti all’Università di Bologna con un dottorato in Filosofia presso l’Università di Aberdeen, ha optato per il secondo metodo per evitare il rischio di perdere i documenti originali. Alle spese burocratiche e consolari, ha quindi aggiunto i costi del viaggio.

Tra le due procedure di riconoscimento, i maggiori problemi riguardano l’equipollenza, il riconoscimento più solido e duraturo. Uno dei primi ostacoli è capire dove fare domanda. Fino al 2022, la richiesta andava inviata al Ministero dell’Università e della Ricerca, ma una modifica introdotta durante il governo di Mario Draghi ha trasferito la competenza alle singole università. In teoria, ciò avrebbe dovuto semplificare il processo, ma in pratica ha creato ulteriori complicazioni.

Oltre alle procedure consolari, la legge richiede che chi chiede l’equipollenza trovi un corso di laurea o dottorato italiano con caratteristiche esattamente corrispondenti al titolo estero, inclusi durata, numero di crediti e contenuti. Questo obbliga i richiedenti a “peregrinare” da un’università all’altra per trovare un titolo di studio equivalente. Come racconta Martina Gargiulo dell’Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (ADI), «Se non trovi un corso perfettamente sovrapponibile al tuo, la richiesta viene rigettata, anche se possiedi già un titolo di studio da un’università molto prestigiosa».

La sovrapponibilità dei titoli di studio viene calcolata indipendentemente dal prestigio o dal riconoscimento scientifico dell’università in cui si è studiato. Come sottolinea Filippo Ferrari, che ha conseguito un dottorato al Northern Institute of Philosophy dell’Università di Aberdeen, lavorando con il celebre filosofo Crispin Wright, «È assurdo che ti chiedano di certificare l’equipollenza di un titolo di studio rilasciato da un’università riconosciuta a livello internazionale».

La rigidità di questi criteri ha impedito a Margherita Pascucci di ottenere il riconoscimento del suo dottorato in Filosofia conseguito presso l’Università Europea Viadrina di Francoforte sull’Oder. Nonostante con quel titolo abbia vinto una borsa post-doc al Collège de France e una prestigiosa borsa Marie Skłodowska-Curie, oltre a pubblicare articoli e saggi con case editrici rinomate come Palgrave Macmillan, non è riuscita a ottenere l’equipollenza del dottorato in Italia.

Quando Margherita Pascucci ha richiesto l’equipollenza del suo dottorato tedesco in Italia, le è stata negata perché il suo dottorato durava due anni, mentre in Italia i dottorati ne durano tre. Pascucci ha evidenziato il paradosso di un titolo riconosciuto e apprezzato a livello europeo, ma non a livello nazionale. Ha scritto una lettera nel 2020 al ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, e al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lamentando la situazione.

Dopo il diniego per il dottorato tedesco, Pascucci ha avviato la procedura per ottenere l’equipollenza del suo dottorato statunitense. Ha impiegato mesi e speso diverse centinaia di euro. Durante il processo, ha più volte contattato gli uffici del ministero senza ricevere risposte, nonostante avesse provato sia via mail che telefonicamente, utilizzando numeri indicati sul sito, molti dei quali non più attivi.

Le inefficienze nella gestione delle pratiche di riconoscimento sono comuni. Nel caso di Filippo Ferrari, la documentazione spedita al ministero per l’equipollenza, contenente tutti i documenti originali, era diventata irrintracciabile. Dopo numerose chiamate, un impiegato del ministero si è preso la briga di andare fisicamente in un altro ufficio, salendo le scale con un cordless perché l’ascensore era rotto, per cercare il dossier, che era stato erroneamente inserito in un altro plico. Solo grazie alla buona volontà di questo impiegato la situazione si è sbloccata.

Una volta approvata la pratica, la documentazione gli è stata inviata tramite posta ordinaria, anziché con posta certificata e tracciabile. Ferrari ha ritrovato i documenti giorni dopo, spiegazzati e inzuppati di pioggia, nella cassetta della posta.

Ogni ateneo stabilisce i propri costi per la pratica di equipollenza, spesso molto elevati. L’Università La Sapienza di Roma chiede oltre 400 euro, l’Università di Padova ne richiede 600, di cui 300 solo per presentare la domanda, indipendentemente dall’esito. L’Università di Bologna, considerata la più costosa, richiede oltre 1000 euro per il riconoscimento.

Il problema del riconoscimento dei titoli esteri è particolarmente critico per chi ha un dottorato, dato che questo titolo è strettamente legato ai percorsi accademici. Tuttavia, riguarda anche altri titoli di studio come master e lauree, oltre a titoli professionali, per i quali il riconoscimento può essere altrettanto complesso.

Un esempio è Eleonora Francica, 27 anni, giornalista presso Science|Business, con precedenti esperienze lavorative presso Politico. Francica ha conseguito un master in giornalismo presso la Columbia University di New York, l’università che assegna il prestigioso premio Pulitzer. Dopo aver ottenuto il titolo professionale di giornalista negli Stati Uniti, ha avviato la procedura per richiederne il riconoscimento in Italia.

Eleonora Francica ha impiegato un anno e mezzo per ottenere il riconoscimento del suo titolo di giornalista in Italia. L’ufficio riconoscimento titoli del ministero della Giustizia era disponibile per richieste di informazioni solo il mercoledì, dalle 9 alle 11: «A volte rimanevo sveglia fino alle 4 del mattino negli Stati Uniti, dove mi trovavo, per rientrare nella fascia oraria in cui qualcuno mi rispondeva», racconta.

Francica aggiunge che è stato complicato trovare le informazioni necessarie, capire il processo e raccogliere la documentazione richiesta: «Al consolato italiano volevano solo documenti firmati a mano, senza possibilità di usare firme digitali ufficiali». In un’occasione, ha dovuto fare un viaggio in autobus di sette ore, andata e ritorno, per far firmare un foglio dal suo caporedattore di Politico ad Albany, nello stato di New York.

Dopo aver ottenuto tutta la documentazione necessaria, Eleonora Francica è tornata in Italia e l’ha consegnata all’Ordine dei giornalisti. Tuttavia, le è stato detto che, nonostante il riconoscimento del suo master le avesse permesso di evitare il praticantato, doveva comunque sostenere l’esame di Stato per diventare giornalista professionista. Ha sostenuto l’esame, ma a causa delle tempistiche delle sessioni e dei tempi di attesa, l’iscrizione formale all’Ordine avrebbe richiesto diversi mesi.

Nel frattempo, Francica ha cercato lavoro a Bruxelles, dove è stata assunta da Science|Business. Frustrata dal processo, ha commentato: «Ti dicono tutti che studiare all’estero è un plus, ma cosa me ne faccio se, quando torno, non riesco a lavorare?».

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