La plastica viene davvero riciclata? Negli USA una donna ha messo un AirTag in un cestino per scoprirlo

La plastica viene davvero riciclata? E quanta strada fa prima di essere nuovamente trasformata? Scopriamolo insieme 

Può un semplice AirTag permetterci di scoprire il tragitto di una componente in plastica prima di essere riciclata in qualcosa di nuovo, ma soprattutto: la plastica viene davvero riciclata?

Brandy Deason, coordinatrice per la giustizia climatica dell’organizzazione no-proft Air Alliance Houston ha cercato di rispondere a queste domande sfruttando l’AirTag.

Brandy Deason ha inserito un AirTag, ovvero il famoso tracker di Apple, nella spazzatura per scoprire se la plastica viene effettivamente riciclata e quale giro compie prima di arrivare a questo punto.

Perché ha scelto di farlo? Per un certo scetticismo che la stessa Air Alliance Houston prova nei confronti del processo di riciclaggio e, occupandosi proprio di giustizia climatica, l’organizzazione ha voluto fare questo piccolo esperimento.

Per esempio, a fare storcere il naso all’organizzazione ci ha pensato il polistirolo, che secondo le regole di raccolta differenziata sarebbe discutibilmente da gettare insieme ad altri tipi di plastica. Insomma, quale miglior modo di chiarire ogni dubbio se non quello di pedinare la plastica con un bel AirTag?

Come avviene il riciclaggio della plastica?

Prima di addentrarci nei risultati di questo tracciamento, spendiamo due parole per ricordare in cosa consiste il processo di riciclaggio della plastica.

Il riciclaggio della plastica è un processo che inizia con la raccolta differenziata dei rifiuti plastici, che vengono poi inviati agli impianti di riciclaggio. 

In questi impianti, la plastica viene selezionata e suddivisa in base al tipo di polimero da cui è composta: esistono diversi tipi di plastica come il PET, usato principalmente per realizzare le bottiglie, e l’HDPE utilizzato per produrre contenitori. 

Dopo la selezione basata sul tipo di polimero, i materiali vengono lavati per rimuovere contaminanti come residui di cibo o etichette che, con tutta probabilità, sono rimasti sulla plastica.

Successivamente, la plastica pulita viene triturata in piccoli frammenti o fusa e trasformata in granuli, che possono essere utilizzati per produrre nuovi oggetti, come imballaggi o tessuti ( ne sono un esempio i pile che indossiamo in inverno). 

Questo processo riduce la quantità di plastica nei rifiuti e consente di riutilizzare le materie prime invece che sprecarle dopo un solo utilizzo, contribuendo a ridurre l’inquinamento ambientale. 

Tuttavia, ancora oggi il processo di riciclaggio della plastica si dimostra spesso poco efficiente, motivo per cui Brandy Deason ha deciso di scoprire di più sul percorso che effettua la plastica prima di essere correttamente riciclata, o meglio, per capire se la plastica che gettiamo nella raccolta differenziata, venga a tutti gli effetti riciclata oppure no. 

Scopriamo i risultati di questo esperimento che, per quanto piccolo e specifico, porta alla luce alcune problematiche che potremmo ritenere universali e diffuse.

Le conclusioni dell’esperimento con l’AirTag

L’esperimento ha portato a focalizzare l’attenzione sull’azienda Wright Waste Management, ovvero l’azienda dove finivano la maggior parte dei rifiuti plastici tracciati dall’AirTag.

Questa azienda si occupa di smaltimento di rifiuti e nasce principalmente per il riciclo di cartone ma negli ultimi anni ha ampliato i propri servizi occupandosi anche dello smaltimento di plastica. Tuttavia questo glow up non è ancora stato finalizzato nel modo corretto e l’azienda si è dimostrata carente nella gestione corretta dei rifiuti plastici, facendoli accumulare. 

accumulo plastica
I risultati del tracciamento della plastica – Unsplash – ireporters.it

Approfondendo la questione, è stato chiaro fin da subito che la colpa non fosse della Wright Waste Management, ma delle autorità che non rilasciano l’autorizzazione all’azienda per lo smaltimento della plastica nonostante siano passati ben due anni dalla richiesta da parte dell’attività.

Senza questa autorizzazione la Wright Waste Management può a tutti gli effetti ricevere la plastica ma non può smaltirla. 

Così 250 tonnellate di plastica giacciono in azienda, e sa da un lato sembra paradossale, dall’altro possiamo dire che quantomeno si trovano in un luogo in cui prima o poi verranno correttamente smistate invece che andare ad inquinare l’ambiente. 

I risultati di questo piccolo esperimento mettono in luce che le problematiche nel riciclo della plastica sono spesso legate ad una gestione scorretta da parte delle autorità di tutto ciò che concerne burocrazia e organizzazione.

Questo provoca non solo uno stallo e un rallentamento nel processo di riciclaggio, ma anche dei costi onerosi di gestione che possono scoraggiare molte aziende dallo scendere in campo a favore dell’ambiente. 

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