I giudici chiariscono che le difficoltà economiche non esonerano dal versare l’assegno di mantenimento, anche quando il genitore è senza lavoro.
Il tema del mantenimento dei figli torna sotto i riflettori con una nuova decisione della Corte di cassazione, che stabilisce un principio di forte impatto sociale. Il giudice di legittimità ha ribadito che le difficoltà economiche del genitore obbligato non costituiscono motivo sufficiente per sottrarsi al pagamento dell’assegno. Anche in caso di disoccupazione, rimane in piedi il dovere di contribuire al sostegno economico dei figli, considerato interesse primario e diritto inderogabile. La pronuncia, depositata a Roma nel settembre 2025, si inserisce in una linea interpretativa che non ammette deroghe quando si tratta di garantire le necessità quotidiane dei minori.
L’obbligo di mantenimento e i limiti delle difficoltà economiche
La legge italiana, con l’articolo 316-bis del codice civile e successive modifiche, stabilisce che entrambi i genitori devono provvedere in proporzione alle proprie capacità. La Cassazione ha precisato che questo dovere non può essere azzerato dalla sola perdita del lavoro. Il genitore disoccupato è tenuto a dimostrare di aver cercato soluzioni alternative, come lavori saltuari o forme di reddito anche modeste, per onorare l’impegno stabilito dal tribunale.

La sentenza analizzata riguarda il ricorso di un padre che, perso il lavoro, aveva smesso di corrispondere la somma fissata dal giudice per il mantenimento dei figli minori. La Corte d’appello aveva confermato l’obbligo, ritenendo che la disoccupazione non fosse sufficiente a giustificare la sospensione dei versamenti. Davanti alla Cassazione, l’uomo ha provato a sostenere che le sue condizioni di vita lo esonerassero dal pagamento. I giudici hanno respinto il ricorso, ricordando che il diritto del minore al mantenimento prevale sulle difficoltà individuali del genitore.
Il tribunale può ricalcolare l’importo sulla base della situazione concreta, ma non può cancellare del tutto l’obbligo. La regola vale anche quando l’altro genitore ha redditi superiori: l’assegno non è una misura punitiva, ma uno strumento per bilanciare il contributo di entrambi. Non a caso, la giurisprudenza richiede sempre una verifica accurata delle capacità effettive, includendo redditi non dichiarati, lavori in nero e ogni forma di guadagno che possa concorrere al sostegno dei figli.
Le conseguenze del mancato pagamento e il richiamo ai doveri genitoriali
Il mancato rispetto dell’obbligo di mantenimento apre a conseguenze pesanti. Oltre alle azioni civili di recupero delle somme non versate, è prevista anche la responsabilità penale. L’articolo 570 del codice penale punisce chi si sottrae volontariamente al sostegno dei figli. Le pene possono arrivare fino alla reclusione, in casi di reiterata inadempienza.
La Cassazione, nel confermare la condanna al ricorrente, ha sottolineato che la perdita del lavoro non libera da responsabilità. È compito del genitore dimostrare di aver fatto tutto il possibile per assicurare ai figli un sostegno, anche minimo. In assenza di prove concrete, l’inadempimento diventa colpevole. Questa impostazione si riflette nella volontà di tutelare i minori da condizioni di povertà o privazioni dovute a scelte non responsabili dei genitori.
Il principio affermato dai giudici non esclude che chi versa in grave difficoltà possa chiedere al tribunale una riduzione dell’assegno. Ma la richiesta deve essere motivata, documentata e accompagnata da elementi oggettivi. Non basta dichiarare la disoccupazione: servono certificazioni, prove di ricerca attiva di lavoro e disponibilità a forme di occupazione alternative. Solo in questi casi il giudice può intervenire per modulare l’importo, mai per eliminarlo del tutto.
Il messaggio è chiaro: il mantenimento dei figli è un dovere primario, non subordinato alle oscillazioni delle condizioni personali. La tutela dei minori, per la Cassazione, resta un principio che non ammette deroghe.