Oltre un milione di ettari bruciati in Europa nel 2025. Italia prima per numero di incendi, WWF chiede più prevenzione.
Un’area grande quanto la Basilicata trasformata in cenere. È il bilancio degli incendi boschivi che hanno colpito l’Unione europea nel 2025, rendendolo l’anno peggiore degli ultimi vent’anni. Oltre 1.800 roghi hanno devastato territori dalla Spagna alla Grecia, passando per i Balcani e l’Italia, cancellando habitat naturali e costringendo migliaia di persone a lasciare le proprie case.
I numeri della devastazione: Italia e Spagna in prima linea
I dati raccolti dalle agenzie europee descrivono un quadro drammatico. La Spagna ha registrato la peggiore stagione degli ultimi trent’anni, con un’estensione degli incendi cinque volte superiore alla media annuale. Il Portogallo ha visto bruciare circa il 3% del territorio nazionale, mentre Cipro ha perso il 2,3% della propria superficie. L’Italia si è distinta per un primato preoccupante: con 532 incendi di grandi dimensioni (oltre 30 ettari ciascuno), ha fatto registrare il numero più alto a livello europeo, con una media di quasi due episodi al giorno. Più della metà di questi roghi, secondo i dati ufficiali, sarebbe di origine dolosa, alimentando sospetti di responsabilità criminali dietro molte delle fiamme.

Il fenomeno più allarmante, comune a tutti i Paesi, non è solo la frequenza degli incendi ma la loro estensione media in crescita. Sempre più spesso si parla di mega-incendi, eventi difficili o impossibili da contenere anche con l’impiego massiccio di mezzi aerei e squadre di terra. Le conseguenze sono pesantissime: foreste cancellate, biodiversità compromessa, aree protette ridotte in cenere, danni miliardari per agricoltura e infrastrutture. A tutto questo si somma il fumo, un nemico invisibile che colpisce la salute pubblica. Nel solo 2025 le emissioni di CO2 hanno raggiunto quota 38 milioni di tonnellate, mentre il particolato fine (PM2.5) è tra i principali responsabili di circa 1,5 milioni di morti premature all’anno a livello globale.
Clima, abbandono rurale e urbanizzazione: le cause di una crisi
Perché gli incendi stanno diventando sempre più distruttivi? Gli esperti puntano il dito contro il cambiamento climatico. Uno studio del World Weather Attribution ha stimato che le condizioni meteorologiche favorevoli alle fiamme — come siccità prolungata e ondate di calore — sono oggi 40 volte più probabili rispetto al passato e con un’intensità superiore del 30%. Ma il clima non è l’unico fattore. L’abbandono delle aree rurali, con conseguente accumulo di vegetazione secca, ha trasformato ampie zone in serbatoi di combustibile naturale. Allo stesso tempo, l’espansione delle aree urbane a ridosso dei boschi aumenta la vulnerabilità delle comunità, che si ritrovano esposte direttamente al rischio.
Il problema, denunciano diverse associazioni, è che le politiche adottate restano ancorate a un approccio del passato. Si continua a puntare quasi esclusivamente sulla lotta attiva alle fiamme, un sistema reattivo che mostra i suoi limiti di fronte alla potenza dei mega-incendi. Secondo i dati Eurostat, i governi europei destinano in media appena lo 0,5% del bilancio alla protezione contro gli incendi, una cifra giudicata insufficiente. Per il WWF serve un cambio di prospettiva: spostare risorse e priorità dalla reazione alla prevenzione. Edoardo Nevola, responsabile foreste del WWF Italia, ha dichiarato che “occorre un’azione urgente e coordinata per interrompere il circolo vizioso, reindirizzando investimenti verso la creazione di paesaggi e comunità più resilienti”.
Le soluzioni esistono e sono state raccolte in un documento redatto da WWF e BirdLife. Tra le proposte: tutelare e ripristinare ecosistemi come le aree umide, che funzionano da barriere naturali contro il fuoco; promuovere una gestione forestale vicina alla natura; sostenere pratiche agro-pastorali biologiche in grado di ridurre il carico di vegetazione secca; coinvolgere direttamente le comunità locali, formandole come prime custodi del territorio. Il 2025 rischia così di diventare un campanello d’allarme definitivo. Senza una svolta radicale nelle politiche di prevenzione, la cronaca di un’estate di fuoco rischia di trasformarsi in un nuovo standard per l’Europa meridionale.