Una diagnosi oncologica cambia la vita, anche sul lavoro. La nuova normativa promette più diritti per pazienti, familiari e lavoratori fragili.
Quando arriva una diagnosi di cancro, tutto si stravolge. Oltre al dolore, alla paura e alle terapie, c’è una dimensione spesso trascurata ma altrettanto cruciale: quella lavorativa. Stipendi che si riducono, permessi che non bastano, il timore di perdere il posto: oggi oltre 1 milione e 100mila lavoratori oncologici in Italia si trovano a fare i conti anche con questi problemi. Per loro, il 2026 si apre con una speranza in più: il Senato ha approvato in via definitiva la Legge 106/2025, che introduce nuove tutele specifiche a partire dal 1° gennaio 2026.
La misura principale è l’estensione del congedo non retribuito: da 6 a 24 mesi, utilizzabili in modo continuativo o frazionato. Ne hanno diritto i lavoratori con invalidità pari o superiore al 74%. Un passo importante per chi è costretto a interrompere l’attività lavorativa durante il percorso di cura, ma non abbastanza secondo le associazioni: manca infatti qualsiasi forma di copertura economica o previdenziale durante l’assenza.
Altra novità è l’accesso prioritario al lavoro agile, al termine del congedo. Ma attenzione: non si tratta di un diritto pieno, come nel caso del part-time riconosciuto ai sensi del D.lgs. 276/2003, bensì di una priorità “compatibile” con le mansioni svolte.
Per i lavoratori autonomi, viene raddoppiato il limite di sospensione dell’attività (da 150 a 300 giorni l’anno) se lavorano con un solo committente. Tuttavia, resta scoperta la questione dei sostegni al reddito: nessun indennizzo previsto, nessun coinvolgimento delle Casse previdenziali o della Gestione separata Inps.
Più permessi retribuiti e certificazioni semplificate per i lavoratori fragili
Una novità attesa da tempo è la possibilità, per i lavoratori oncologici e i genitori di figli minori con patologie croniche, invalidanti o oncologiche, di usufruire di 10 ore in più di permesso retribuito ogni anno. Ore da destinare a visite, controlli ed esami. E c’è anche un procedura semplificata per documentare la propria condizione: basta un certificato del medico di famiglia o di uno specialista del SSN, validabile via tessera sanitaria e Fascicolo sanitario elettronico.

Inoltre, i malati oncologici non hanno più l’obbligo di reperibilità durante i giorni di malattia: non devono quindi restare a casa nelle fasce orarie previste per le visite fiscali. Una piccola ma significativa conquista.
Chi lo desidera può chiedere il trasferimento nella sede più vicina al proprio domicilio, oppure la rimodulazione delle mansioni in base al proprio stato di salute, anche nel corso del tempo. Il tutto senza perdere il posto di lavoro né subire riduzioni di stipendio.
Diritti poco conosciuti che possono fare la differenza
Secondo Elisabetta Iannelli, segretario generale di FAVO e presidente Aimac, la legge rappresenta un passo avanti, ma non è ancora sufficiente. «Mancano misure di buonsenso come il divieto di lavoro notturno e la contribuzione figurativa durante l’aspettativa», afferma.
E sottolinea un problema diffuso: molti diritti già esistenti non sono conosciuti. Ad esempio:
I 30 giorni di permesso pagato all’anno per cure mediche (per chi ha almeno il 50% di invalidità).
Le tutele previste dalla Legge 104/92, come i 3 giorni di congedo mensile retribuito e il congedo straordinario fino a 2 anni per chi assiste un familiare malato.
Alcuni contratti collettivi, che prevedono l’esclusione delle giornate di terapia dal computo della malattia, garantendo la retribuzione piena.
La Legge 106/2025 non risolve tutti i problemi dei lavoratori oncologici, ma riconosce finalmente un’urgenza sociale ignorata troppo a lungo. In un paese che invecchia e dove le patologie croniche sono in aumento, tutelare il lavoro delle persone fragili non è solo una questione etica: è un investimento di civiltà.
Serve ora il passo successivo: trasformare queste tutele in veri diritti strutturali, non legati a una singola norma, ma parte integrante del nostro welfare. Perché chi combatte contro una malattia non dovrebbe mai dover combattere anche per mantenere la dignità del proprio lavoro.