Le tensioni tra Russia e Ucraina restano altissime. Vladimir Putin ha dichiarato di essere disponibile a incontrare Volodymyr Zelensky, ma soltanto a Mosca. Una mossa che ha immediatamente provocato la replica dura di Kiev, che accusa il presidente russo di voler soltanto prendere tempo e di “prendere in giro tutti”. Sullo sfondo, la nuova ondata di bombardamenti che ha colpito Kostiantynivka causando 9 morti, mentre a Parigi e Washington si discute di nuove strategie per contenere l’escalation.
Parlando in conferenza stampa al termine della sua visita in Cina, in occasione del vertice della SCO a Tianjin e della parata per l’80° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, Putin ha aperto a un faccia a faccia con Zelensky, specificando però che dovrebbe avvenire nella capitale russa: “Se è pronto a parlarmi, che venga a Mosca”.
Una condizione che Kiev considera inaccettabile. Fonti governative hanno definito l’uscita di Putin “un atto propagandistico” volto più a mostrare forza interna che a reali prospettive di pace. Il messaggio ucraino è stato netto: “Non si tratta di dialogo, ma di un teatrino davanti all’opinione pubblica internazionale”.
La pressione internazionale e la posizione degli Stati Uniti
Intanto, Donald Trump, presidente americano tornato alla Casa Bianca dopo le elezioni del 2024, ha dichiarato che non accetterà compromessi al ribasso: “Se le decisioni di Putin non mi soddisfano, vedrete succedere cose”. Una frase che lascia intendere un approccio più diretto e muscolare rispetto al passato.
Il tema è stato al centro dei colloqui tra Zelensky, i cosiddetti Volenterosi e lo stesso Trump, all’indomani del vertice di Parigi organizzato da Emmanuel Macron. Secondo fonti diplomatiche, Washington starebbe valutando nuove misure di sostegno militare a Kiev, mentre l’Europa resta divisa sul peso delle sanzioni e sull’invio di ulteriori armamenti.

Mentre la diplomazia prova a ritagliarsi uno spazio, la realtà della guerra resta drammatica. A Kostiantynivka, città ucraina del Donetsk, i bombardamenti russi hanno provocato almeno 9 vittime e numerosi feriti. Le immagini arrivate dal fronte mostrano edifici distrutti e squadre di soccorso al lavoro senza sosta.
Secondo le autorità locali, si tratta di uno degli attacchi più gravi delle ultime settimane, in un contesto in cui la popolazione civile continua a pagare il prezzo più alto del conflitto. Nonostante le dichiarazioni di Mosca, la tregua sembra ancora lontana.
Uno scontro che resta senza soluzioni concrete
Il quadro internazionale è sempre più complesso. L’apertura condizionata di Putin, la risposta aspra di Kiev e le dichiarazioni di Trump confermano che la crisi non accenna a trovare una via diplomatica chiara. Ogni segnale viene letto come una prova di forza, mentre sul campo le bombe continuano a cadere.
La sensazione è che la guerra in Ucraina sia entrata in una fase in cui la diplomazia diventa parte della strategia militare, usata per guadagnare tempo e consensi, più che per cercare una pace duratura. In questo scenario, la popolazione civile resta l’unico vero ostaggio di un conflitto che sembra non voler finire.
L’apertura condizionata di Vladimir Putin e la risposta sprezzante di Kiev non rappresentano un vero passo avanti verso la pace, ma piuttosto l’ennesimo tassello di una partita geopolitica che si gioca ormai ben oltre i confini dell’Ucraina. La guerra, iniziata con l’invasione del 2022 e poi proseguita tra offensive e controffensive, è diventata sempre più un conflitto simbolico, dove ogni dichiarazione pubblica serve più a consolidare alleanze che a trovare soluzioni concrete.
Il rifiuto di Volodymyr Zelensky di accettare un incontro a Mosca è comprensibile: presentarsi nella capitale dell’aggressore, nel bel mezzo di una guerra ancora attiva, equivarrebbe a una resa diplomatica, un segnale devastante per il fronte interno e per i partner occidentali. Allo stesso tempo, l’invito di Putin a Mosca – pronunciato durante un evento internazionale a Pechino – ha il sapore della provocazione studiata, del colpo di teatro pensato più per i titoli dei giornali che per i tavoli di trattativa.
Nel frattempo, i civili continuano a morire. Gli ultimi bombardamenti a Kostiantynivka lo dimostrano: al di là delle parole, il conflitto continua a uccidere, a distruggere intere città, a piegare una popolazione che non ha più certezze. E mentre le capitali del mondo discutono, firmano documenti, rilasciano dichiarazioni e minacciano ritorsioni, la guerra quotidiana si consuma nel silenzio di palazzi crollati, rifugi improvvisati e ospedali al collasso.
Oggi, a oltre tre anni dall’inizio dell’invasione, l’unico dato certo è che nessuna soluzione duratura può arrivare senza un cambio di strategia. Serve un dialogo vero, ma soprattutto serve la volontà di mettere da parte propaganda, ego e calcoli politici. Fino a quel momento, la guerra non smetterà di parlare. E le sue parole saranno sempre bombe, sirene e silenzi insopportabili.