Regole sugli smartphone? Sono i ragazzi stessi a chiedere più limiti e meno libertà

Dire di no

Dite di no ai vostri ragazzi: sono loro che ve lo chiedono!-ireporters.it

Franco Vallesi

17 Settembre 2025

Sempre più adolescenti chiedono limiti sull’uso dello smartphone. Perché educare oggi significa anche saper dire dei no. Mentre il dibattito si divide tra libertà e divieti, molti adolescenti chiedono proprio ciò che gli adulti esitano a dare: confini chiari e accompagnamento responsabile.

In un’epoca in cui la connessione è permanente e l’identità digitale si forma ben prima della maturità, emerge un dato sorprendente: sono proprio gli adolescenti a domandare regole. Lo smartphone, da simbolo di autonomia, si è trasformato per molti in una protesi emotiva, un vincolo più che una libertà. E a dirlo non sono solo gli adulti preoccupati, ma anche i diretti interessati.

I giovani vogliono limiti per sentirsi più liberi

Incontri con gruppi di adolescenti organizzati da una fondazione che si occupa di educazione e giovani hanno svelato un cambio di paradigma. Non più solo difesa dell’autonomia, ma richiesta di confini. Ragazzi tra i 12 e i 17 anni, in modo spesso disarmante, hanno confessato quanto sia difficile staccarsi dallo smartphone. Alcuni hanno ammesso di percepirlo come un’estensione della propria persona, una gabbia invisibile che li accompagna ovunque.

In un contesto familiare e sociale dove la libertà viene spesso scambiata per mancanza di regole, questi giovani hanno invece chiesto divieti che li aiutino a recuperare spazi di libertà. Un paradosso solo apparente: i limiti, quando sono motivati e condivisi, possono diventare strumenti di emancipazione, non di controllo.

Educare anche al divieto
Non sempre dire di no è un imposizione negativa-ireporters.it

Le evidenze scientifiche supportano queste testimonianze. Uno studio condotto dall’Università Cattolica di Milano e promosso dal Ministero delle Imprese mostra che il 94% dei minori tra 8 e 16 anni possiede uno smartphone. Ancora più allarmante: oltre il 70% degli 8–10enni ha già accesso ai social. E un’altra indagine condotta su più di 6.600 studentievidenzia come aprire un profilo social in prima media sia correlato a risultati scolastici più bassi nei test Invalsi rispetto a chi ha aspettato l’età di 14 anni.

Educare non significa scegliere tra libertà e divieti

Il dibattito si è polarizzato: da un lato chi sostiene che vietare sia inutile, dall’altro chi propone di proibire l’uso degli smartphone fino a una certa età. Entrambe le posizioni contengono spunti validi, ma diventano inefficaci se portate all’estremo. La verità è che vietare non è il contrario di educare. È parte dell’educare, soprattutto quando si tratta di strumenti complessi e coinvolgenti come i dispositivi digitali.

Servono regole chiare, condivise e non ideologiche, che aiutino le famiglie a non sentirsi sole in un confronto impari con la potenza delle tecnologie. L’educazione digitale non può essere lasciata esclusivamente a genitori o insegnanti. Serve un patto educativo allargato, che coinvolga scuole, psicologi, istituzioni, legislatori, influencer e aziende. Solo così si potrà costruire una risposta all’altezza della sfida.

Una proposta concreta che prende piede in alcuni contesti educativi è quella di “conquistarsi” lo smartphone attraverso un percorso educativo graduale, che coinvolga scuola, famiglia e ragazzi. Non un semplice esame, ma un cammino di crescita in cui l’accesso alla tecnologia diventi il frutto di una maturazione consapevole. Un approccio che ribalta la logica del “tutto e subito” e stimola il desiderio e la responsabilità.

Una responsabilità condivisa che riguarda tutti, adulti compresi

La sfida educativa è collettiva, e riguarda l’intero Paese. Non possiamo permetterci di abbandonare una generazione allo scroll infinito, né accontentarci di risposte semplici a problemi complessi. Non è solo in gioco il futuro dei nostri figli: è il presente di tutta la società. Perché il rischio non è solo quello di ragazzi distratti, ma di cittadini incapaci di desiderare, di scegliere, di costruire legami reali.

Abbiamo bisogno di giovani che sappiano abitare il mondo, non solo gli schermi. Che conoscano la fatica e la bellezza dell’attesa. Che trovino nella realtà qualcosa di più potente di una notifica. Ma per arrivarci, serve un cambiamento radicale. E questo cambiamento inizia da una domanda scomoda che ogni adulto dovrebbe porsi: sto davvero educando o sto semplicemente lasciando fare?

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