Robert Redford è morto a 88 anni: chi era davvero l’uomo dietro il mito del Sundance

Robert Redford

Robert Redford. Fonte foto www.wikipedia.org-ireporters.it

Franco Vallesi

18 Settembre 2025

Morto a 88 anni nella sua casa nello Utah, Robert Redford ha incarnato un altro volto dell’America al cinema: quello sensibile, consapevole, impegnato. Non solo attore: Robert Redford ha cambiato il cinema con la sua coscienza civile, la visione indipendente e uno stile unico.

UTAH, 16 settembre 2025 – Se n’è andato in silenzio, nella sua casa nello Utah, mentre dormiva. Robert Redford, 88 anni, è morto martedì mattina lasciando un vuoto enorme nella cultura americana e mondiale. Attore, regista, produttore, attivista, è stato per decenni il volto più umano e riflessivo del cinema USA, in aperta contrapposizione con le icone della virilità granitica come Bronson, Eastwood, McQueen. Al loro posto, lui impose l’immagine dell’uomo democratico, elegante e malinconico, bravo a baseball e con qualcosa in più: una coscienza civile.

Dagli anni ’70 all’Oscar: Redford, un simbolo dell’impegno e della verità

La sua ascesa cominciò davvero negli anni Settanta, quando divenne campione al botteghino dal 1974 al 1976, periodo in cui Hollywood iniziava a riscoprire le storie vere, i drammi collettivi, il giornalismo d’inchiesta. Redford aveva il senso del reale, lo sguardo sulla gente comune (come nel film omonimo, Ordinary People, con cui vinse l’Oscar come miglior regista nel 1981) e una passione autentica per la verità.

I suoi film riflettevano questo spirito: “Tutti gli uomini del Presidente”, sul caso Watergate, lo trasformò in simbolo dell’America che non accetta il silenzio e combatte per sapere. Era amato dagli ecologisti, per opere come Corvo rosso non avrai il mio scalpo, e dagli attivisti politici, per l’emozionante Come eravamo, con Barbra Streisand, amarcord degli anni idealisti di Roosevelt.

Redford con Melanie Griffith e Sônia Braga
Redford with Melanie Griffith and Sônia Braga. Fonte foto www.wikipedia.org-ireporters.it

Nato nel 1937 a Santa Monica, California, Redford visse un’adolescenza difficile segnata dalla morte prematura della madre. Si trasferì in Francia e Italia con il sogno di diventare pittore, ma fu il teatro a riportarlo a casa. A New York, nel 1959, debuttò a Broadway con A piedi nudi nel parco, al fianco di Jane Fonda, con cui replicò il successo sul grande schermo.

Il cinema lo consacrò definitivamente grazie alla coppia con Paul Newman: Butch Cassidy e La stangata sono ancora oggi classici brillanti, intramontabili. Mentre altri rifiuti clamorosi – Il laureato, Rosemary’s Baby, Chi ha paura di Virginia Woolf? – ne dimostrarono un’indipendenza rara, anche a costo di perdere occasioni storiche.

Tra impegno ecologista, Sundance e regia: una vita oltre lo schermo

Redford non fu mai un divo hollywoodiano nel senso classico. Sceglieva con cura i registi (Roy Hill, Pollack, Ritchie) e rifiutava il successo a ogni costo. Fu tra i primi a dare centralità al cinema indipendente, fondando nel 1981 il Sundance Institute e l’omonimo Festival nello Utah, che divenne un trampolino per autori come Tarantino, Jarmusch, Christopher Nolan. Un’operazione culturale di importanza storica, che ancora oggi definisce le nuove correnti del cinema mondiale.

Fu anche regista di razza, con film come Quiz Show, Leoni per agnelli e il tenero L’uomo che sussurrava ai cavalli. Nei suoi nove film da regista, spesso non si è nemmeno ritagliato un ruolo da protagonista, preferendo dare spazio alla sceneggiatura e al tema. E non mancò mai l’attenzione all’ambiente, come nel sottovalutato Il cavaliere elettrico, o l’impegno sociale, come in Il candidato.

La sua recitazione non fu mai sopra le righe, mai narcisistica: non era Nicholson, non era un virtuoso, e proprio per questo si fece amare da milioni di spettatori. Fu capace di creare coppie indimenticabili, come quella con Meryl Streepin La mia Africa, o con Barbra Streisand, ma anche di restare in disparte quando necessario. Il suo carisma bastava a riempire lo schermo con uno sguardo.

Una vita privata riservata e lontana dagli eccessi di Hollywood

Redford è stato anche padre di quattro figli, due dei quali morti prematuramente, e ha vissuto una lunga relazione con Lola Van Wagenen, madre dei suoi figli, prima di sposare in seconde nozze l’artista tedesca Sibylle Szaggars. Sempre distante dai riflettori della cronaca rosa, ha mantenuto per tutta la vita una dimensione privata protetta, immersa nella natura dello Utah che tanto amava.

I riconoscimenti non si sono fatti attendere: due Oscar, il Leone d’oro alla carriera, la Medaglia presidenziale della libertà conferita da Barack Obama, la Legion d’Onore francese, Golden Globe e David di Donatello. Un patrimonio di prestigio che si affianca a quello umano e culturale, lasciato non solo alla sua famiglia, ma a intere generazioni di cineasti e spettatori.

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