Dal 2025 il cellulare a scuola si spegne: una norma rigida che vuole ridurre le distrazioni, ma che apre un dibattito sull’educazione digitale.
Nel 2025 il cellulare viene bandito dalle aule delle scuole superiori. La stretta arriva da una circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito, che estende alle secondarie di secondo grado la regola già applicata da anni all’infanzia, alla primaria e alla scuola media. Obiettivo dichiarato: arginare la dispersione cognitiva e recuperare l’attenzione degli studenti, sempre più frammentata da notifiche, social e messaggi istantanei.
La norma è chiara: gli studenti dovranno consegnare i cellulari all’ingresso dell’edificio scolastico oppure tenerli spenti e non accessibili fino alla fine dell’orario scolastico. Le uniche deroghe ammesse sono legate a progetti educativi specifici, in cui il telefono viene usato come strumento didattico, ad esempio per ricerche, esperienze di coding o attività laboratoriali digitali. Ma si tratta di eccezioni definite all’interno dei singoli Collegi dei docenti, con modalità gestionali a discrezione dei singoli istituti.
Il ministro Giuseppe Valditara, intervenuto pubblicamente al Meeting di Rimini, ha ribadito la linea del governo: “Non si porta il cellulare a scuola”, ha dichiarato, confermando la volontà di ripristinare un ambiente scolastico più ordinato e concentrato. Secondo Valditara, il provvedimento non rappresenta un’imposizione verticale, ma un supporto alla libertà organizzativa delle scuole, che potranno stabilire strumenti e procedure operative per garantire il rispetto della norma.
La nuova direttiva del Ministero impone una svolta radicale sull’uso dei dispositivi
Nel 2025 il cellulare viene bandito dalle aule delle scuole superiori. La stretta arriva da una circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito, che estende alle secondarie di secondo grado la regola già applicata da anni all’infanzia, alla primaria e alla scuola media. Obiettivo dichiarato: arginare la dispersione cognitiva e recuperare l’attenzione degli studenti, sempre più frammentata da notifiche, social e messaggi istantanei.
La norma è chiara: gli studenti dovranno consegnare i cellulari all’ingresso dell’edificio scolastico oppure tenerli spenti e non accessibili fino alla fine dell’orario scolastico. Le uniche deroghe ammesse sono legate a progetti educativi specifici, in cui il telefono viene usato come strumento didattico, ad esempio per ricerche, esperienze di coding o attività laboratoriali digitali. Ma si tratta di eccezioni definite all’interno dei singoli Collegi dei docenti, con modalità gestionali a discrezione dei singoli istituti.

Il ministro Giuseppe Valditara, intervenuto pubblicamente al Meeting di Rimini, ha ribadito la linea del governo: “Non si porta il cellulare a scuola”, ha dichiarato, confermando la volontà di ripristinare un ambiente scolastico più ordinato e concentrato. Secondo Valditara, il provvedimento non rappresenta un’imposizione verticale, ma un supporto alla libertà organizzativa delle scuole, che potranno stabilire strumenti e procedure operative per garantire il rispetto della norma.
L’idea di fondo è che l’apprendimento passi di nuovo dal contatto umano, dalla relazione, dall’ascolto attivo e dai momenti in cui lo sguardo degli studenti non è rivolto allo schermo, ma al docente e al gruppo classe. Un cambio di passo che arriva in un momento in cui si moltiplicano i casi di distrazione e disattenzione cronica tra i giovani, aggravati — secondo il Ministero — proprio da un uso eccessivo e non regolamentato degli smartphone.
Esperti divisi: strumento utile o nemico dell’apprendimento?
Ma il provvedimento, pur chiaro e rigoroso, non mette tutti d’accordo. A sollevare forti perplessità è soprattutto il mondo degli esperti di psicologia e pedagogia. Tra i più critici c’è lo psicoterapeuta Matteo Lancini, che in un’intervista recente ha parlato di una “scuola ferma a un passato che non esiste più”. Per Lancini, la misura rischia di creare una distanza tra il mondo scolastico e quello reale, dove il digitale è parte integrante della vita quotidiana dei ragazzi.
Il punto, secondo lui, non è vietare il telefono, ma insegnarne l’uso consapevole. In un momento storico in cui l’intelligenza artificiale, le app di traduzione, le piattaforme collaborative e i chatbot stanno entrando anche nei programmi universitari, considerare lo smartphone solo come un nemico della concentrazione rischia di essere una visione limitata e difensiva.
Lancini denuncia anche una contraddizione di fondo: da un lato si chiede agli studenti di usare il registro elettronico, di partecipare alle chat scolastiche, di caricare i compiti online; dall’altro si vieta lo strumento che consente loro di farlo. “Non sono più i tempi di mia nonna, che faceva la maestra con un gessetto”, ha ironizzato lo psicoterapeuta, invitando la scuola italiana a ripensare il suo rapporto con la tecnologia, anziché reprimerlo.
Altri studiosi sottolineano la necessità di introdurre nei programmi educazione al digitale, alfabetizzazione algoritmica, capacità di riconoscere le fake news, spirito critico e autonomia nell’uso degli strumenti digitali. Solo così, dicono, si potranno formare cittadini consapevoli, capaci di affrontare un mondo sempre più interconnesso.
E mentre la misura entra in vigore tra applausi e polemiche, resta una domanda aperta: è davvero il divieto lo strumento più efficace per preparare i giovani al futuro, o solo un tentativo di tornare a un passato che non tornerà?