Dalla prima segnalazione nel 2014 a oggi i casi sono quadruplicati. L’Italia, con oltre 700 infezioni, si conferma uno degli epicentri europei.
Negli ospedali europei avanza un nemico silenzioso che mette a rischio la salute dei pazienti più fragili: il Candida auris, fungo farmacoresistente capace di colonizzare reparti e apparecchiature mediche. L’ultimo rapporto diffuso dall’Ecdc nel 2025 parla chiaro: nell’arco di dieci anni si sono registrati oltre 4.000 casi in Europa, con un picco di 1.346 infezioni nel 2023. Un dato che conferma la pericolosità di un patogeno ormai stabilmente presente nel tessuto ospedaliero.
Italia in trincea contro il super fungo
Cinque Stati concentrano la gran parte dei casi: Spagna, Grecia, Italia, Romania e Germania. L’Italia figura tra i Paesi più colpiti, con 712 casi censiti tra il 2013 e il 2023, al terzo posto dopo Spagna (1.807) e Grecia (852). Secondo gli esperti, nel nostro Paese il fungo non si limita più a piccoli focolai: la trasmissione locale è così estesa da rendere impossibile distinguere l’origine delle infezioni, segno che la circolazione del C. auris è ormai endemica.
Il problema si innesta in un sistema sanitario già sotto pressione: la carenza di personale, la scarsità di risorse e l’elevata mobilità dei pazienti rendono ancora più difficile interrompere la catena dei contagi. Gli ospedali italiani, in particolare quelli con reparti di terapia intensiva, sono i più esposti.

Il fungo rappresenta un pericolo concreto non solo per la sua diffusione, ma per la capacità di resistere ai comuni trattamenti. Colonizza superfici, strumenti e dispositivi medici, rendendo difficile la completa eradicazione. Nei pazienti già fragili può causare infezioni gravi: setticemie, infezioni delle ferite e complicazioni che, nei casi più gravi, risultano fatali.
Un ulteriore ostacolo è la difficoltà diagnostica. I sintomi variano – febbre, brividi, infezioni localizzate – e possono essere confusi con altre patologie. Senza test mirati, il rischio è che il C. auris rimanga invisibile fino a quando l’infezione diventa difficile da controllare.
Europa a due velocità nella sorveglianza
L’indagine dell’Ecdc evidenzia come l’Europa proceda a velocità diverse nella lotta al super fungo. Solo 17 dei 36 Paesi monitorati dispongono di un sistema nazionale di sorveglianza dedicato e appena 15 hanno linee guida specifiche. Sul fronte diagnostico la situazione appare più solida: 29 Stati hanno laboratori di riferimento e 23 garantiscono test agli ospedali. Tuttavia, la mancanza di protocolli unificati e l’assenza di segnalazioni obbligatorie contribuiscono a una sottostima dei casi.
Secondo l’Ecdc, la chiave è agire rapidamente: dove la risposta è stata tempestiva, le epidemie sono rimaste circoscritte; altrove, come in Italia e Grecia, il fungo ha trovato terreno fertile per diffondersi.
Il Candida auris è stato individuato per la prima volta in Giappone nel 2009 e ha raggiunto l’Europa nel 2014. Da allora la sua presenza è aumentata in modo esponenziale, favorita dai viaggi internazionali e dai ricoveri ospedalieri. Nel 2025 il patogeno è considerato una delle principali minacce emergenti per la sanità pubblica.
L’Ecdc invita gli Stati membri a potenziare la sorveglianza, rafforzare i laboratori e sviluppare strategie comuni. In Italia, alcune Regioni hanno già avviato protocolli più stringenti per la disinfezione e la tracciabilità, ma senza un coordinamento nazionale il rischio è che il fenomeno sfugga al controllo.
Gli esperti sottolineano che la battaglia contro il super fungo si gioca nei prossimi anni: diagnosi rapida, controllo delle infezioni e protocolli efficaci possono fare la differenza. Non si tratta solo di difendere i pazienti più vulnerabili, ma di preservare la tenuta complessiva dei sistemi sanitari. Perché il C. auris, invisibile e resistente, mette in discussione una delle certezze più radicate: la sicurezza stessa degli ospedali.
Una battaglia silenziosa che richiede consapevolezza
Il caso del Candida auris ci ricorda quanto le sfide della sanità moderna non arrivino sempre sotto forma di grandi epidemie riconoscibili, ma possano insinuarsi in maniera silenziosa fino a diventare problemi sistemici. In Italia, come nel resto d’Europa, il fungo farmacoresistente rappresenta oggi un banco di prova per la capacità di coordinamento e risposta del sistema sanitario. Non si tratta soltanto di un’emergenza infettivologica: la diffusione del super fungo tocca temi cruciali come la prevenzione, la gestione delle risorse ospedaliere e la comunicazione trasparente ai cittadini.
Gli esperti sottolineano che la partita si gioca su due fronti: da un lato il potenziamento della sorveglianza epidemiologica, indispensabile per monitorare in tempo reale la diffusione del patogeno; dall’altro l’investimento nella ricerca scientifica, che deve accelerare lo sviluppo di nuovi antifungini e di strumenti diagnostici rapidi. Nel 2025, diversi trial clinici sono già in corso per molecole sperimentali capaci di superare le resistenze del C. auris, ma i tempi della ricerca rischiano di non coincidere con l’urgenza della situazione.
Parallelamente, diventa centrale il ruolo delle buone pratiche negli ospedali: dall’igienizzazione delle superfici con disinfettanti mirati all’uso corretto dei dispositivi medici, fino alla formazione del personale sanitario. Piccoli dettagli organizzativi, se trascurati, possono trasformarsi in varchi per la diffusione del fungo.
La conclusione è chiara: il super fungo non è un nemico imbattibile, ma richiede rapidità, coordinamento e consapevolezza collettiva. Se i sistemi sanitari europei sapranno reagire in maniera unitaria, investendo in innovazione e prevenzione, il C. auris potrà essere contenuto prima di diventare un’emergenza fuori controllo. Al contrario, se l’attenzione calerà, il rischio è di trovarsi a inseguire un problema che, a quel punto, avrà già cambiato la natura stessa della sicurezza ospedaliera.