L’ex firma del New York Times accusa: minacce ai giornalisti e pressioni sui network per favorire l’ex presidente. “Sta cercando di dominare i media che non controlla”
Il fondatore di Semafor denuncia un’escalation senza precedenti: pressioni governative, intimidazioni e acquisizioni sospette rischiano di compromettere la libertà di stampa negli Stati Uniti.
Phoenix, settembre 2025 – Una nuova forma di cancel culture, più aggressiva e istituzionalizzata, sarebbe in atto negli Stati Uniti. A denunciarlo è Ben Smith, ex firma del New York Times e oggi cofondatore del sito Semafor, uno dei più autorevoli esperti di media e informazione a livello internazionale.
In un’intervista recente, Smith analizza le nuove dinamiche che stanno scuotendo il panorama mediatico americano. Al centro dell’attenzione ci sono le pressioni esercitate dall’amministrazione Trump, non solo sui contenuti, ma anche sulle stesse strutture editoriali dei principali network.
Pressioni sui network e minacce velate: il caso Kimmel
Smith cita l’episodio del comico Jimmy Kimmel, sospeso da Disney dopo le critiche pubbliche da parte di Brendan Carr, uno dei membri della Federal Communications Commission. «Carr ha detto chiaramente: possiamo farlo con le buone o con le cattive. È una minaccia esplicita», afferma Smith.
La vicenda, secondo il giornalista, rappresenta una svolta inquietante: l’uso dell’apparato statale per zittire voci critiche, aggirando i tribunali e colpendo le grandi aziende dove sono più vulnerabili, cioè sui fronti regolatori e finanziari. «Quando il governo interviene, non è più solo cancel culture, è qualcosa di più profondo: è potere statale usato per controllare la libertà di parola», spiega.

Secondo Smith, l’ex presidente ha trovato il modo di aggirare il Primo emendamento, evitando lo scontro diretto in tribunale e preferendo fare pressioni sulle grandi corporation, come Disney, che non vogliono rischiare scontri regolatori o ostacoli alle loro attività.
Smith commenta anche le recenti indiscrezioni sull’interesse della famiglia di Larry Ellison – miliardario vicino a Trump – ad acquisire CNN, dopo aver già consolidato la propria presenza in CBS e Paramount. «Alla CBS c’è la convinzione che per avere il via libera alle fusioni serva essere gentili con Trump. E questo finirà per condizionare tutto il giornalismo della rete», afferma.
Secondo Smith, l’ex presidente non ha mai avuto una particolare influenza sulle reti tradizionali, ma proprio per questo ora cerca di dominarle dall’interno. «Trump è cresciuto con la TV degli anni ’80, quei media che ora considera irrilevanti ma che sono i più facilmente manipolabili, perché economicamente deboli», spiega. «Ha capito che può uccidere i vecchi media che non controlla, usando gli strumenti del potere economico e regolatorio».
L’obiettivo non è solo il controllo, ma anche il risentimento
Alla base dell’attacco al mondo dell’informazione non ci sarebbe solo una strategia di potere, ma anche un desiderio di rivalsa personale. «Trump dice di essere stato eletto nonostante il 97% dei media fosse contro di lui. La sua è una battaglia guidata dal risentimento. Certo, è anche una presa di potere, ma nasce dalla rabbia verso chi ha osato criticarlo», sottolinea Smith.
E il fronte si sta allargando anche ai quotidiani indipendenti. Smith prevede che le azioni legali contro New York Timese Wall Street Journal si intensificheranno, ma sottolinea come testate indipendenti, non legate a grandi conglomerati, siano più attrezzate per resistere. «Il New York Times non ha bisogno di favori regolatori. Per questo può combattere sul terreno del Primo emendamento, come il suo pubblico si aspetta. Stessa cosa per il Wall Street Journal, che oggi ha una linea editoriale più aggressiva proprio per distinguersi come voce libera».
Secondo Smith, la vera differenza rispetto al passato è che oggi i media sono diventati un campo di battaglia politico, dove ogni parola può avere conseguenze economiche e istituzionali. «Quello che stiamo vedendo è una forma nuova e pericolosa di censura: non viene dai tribunali, ma dai corridoi del potere, attraverso minacce, acquisizioni e compromessi».
L’attacco alla stampa, conclude Smith, è una minaccia alla democrazia stessa. «Quando un governo decide quali voci si possono sentire e quali no, non siamo più in una democrazia liberale. E il fatto che tutto questo stia avvenendo senza clamore, sotto gli occhi di tutti, è ancora più preoccupante».